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Trend e Mercati
06/05/2024
Di Redazione AIS

L’Italia reagisce ai dazi col dialogo

Con i dazi al 10 per cento fino a luglio, il settore vinicolo italiano, guidato da ICE e Veronafiere, reagisce con dialogo a Washington, diversificazione dei mercati e pressing sugli USA, dove l’impatto si fa sentire sull’intera filiera, scrive Meininger’s.

Scongiurato (almeno per ora) lo spettro di dazi punitivi al 20% o peggio, il vino italiano destinato agli Stati Uniti si trova oggi ad affrontare un dazio base del 10 per cento, in vigore fino al prossimo 9 luglio 2025. Una situazione di forte incertezza, che tuttavia non coglie impreparato il Paese, pronto a reagire in modo compatto e proattivo. “La nostra posizione è chiara: non aspettiamo passivamente. Agiamo.”, ha dichiarato Matteo Zoppas, Presidente di ICE Agenzia – Italian Trade Agency, delineando la strategia nazionale per navigare queste acque turbolente.

È stato un periodo convulso, ricorda l’articolo originale. Dopo le minacce incrociate tra UE e USA (con Trump che arrivò a ipotizzare dazi del 200 per cento sull’alcol europeo), la cancellazione di ordini da parte degli importatori americani spaventati e l’annuncio effettivo di un dazio del 20 per cento, la successiva “pausa” con riduzione al 10 per cento fino a luglio ha portato un certo sollievo. “Qualsiasi limitazione al libero scambio è ovviamente un limite“, commenta Adolfo Rebughini, Direttore Generale di Veronafiere, l’ente organizzatore di Vinitaly, “ma il 10 per cento è certamente meglio del 20.” Una tempistica che, come sottolineato, ha quasi favorito l’Italia: l’annuncio del 20 per cento è arrivato poco prima di Vinitaly, spingendo i buyer americani (oltre 3.000 presenti a Verona) a chiudere accordi temendo il peggio, salvo poi trovarsi con un dazio inferiore alle attese.

Nonostante ciò, l’impatto dei dazi si fa sentire. Zoppas parla di condizioni commerciali più “caute“: “i produttori più piccoli stanno rallentando i piani di espansione, mentre le aziende più grandi e strutturate stanno riesaminando le loro strategie di prezzo. Non c’è stato un blocco generalizzato, ma è evidente un approccio prudente”.

La reazione italiana è stata immediata. Il 1° maggio scorso, ICE Agenzia e Veronafiere hanno organizzato una tavola rotonda strategica a Washington D.C., presso Cafe Milano. L’incontro ha riunito figure di alto livello dell’industria vinicola e degli spirits statunitense, funzionari italiani, importatori, distributori e retailer. La posta in gioco è alta: come ha ricordato Rebughini, il vino è una categoria strategica per l’export Made in Italy, che punta a 100 miliardi di euro nel solo agroalimentare. I dazi minacciano questi obiettivi e colpiscono soprattutto i piccoli produttori. Charles Lazzara, titolare di Volio Imports, ha spiegato chiaramente l’effetto a cascata: “un dazio del 10 per cento, che magari vale 1 dollaro all’origine, finisce per diventare 3 dollari sullo scaffale. E 3 dollari ti buttano fuori da una fascia di prezzo, facendoti perdere magari il 30 per cento del mercato“.

Dal fronte negoziale, Roger Murray dello studio legale Akin Gump ha riferito che l’amministrazione USA starebbe definendo un modello di accordo commerciale da proporre a circa 19 paesi, con una finestra temporale di 90 giorni (fino a luglio, appunto). I negoziati, tuttavia, sembrano in generale ancora in fase iniziale, sebbene UE e Australia potrebbero essere più avanti. L’indicazione per la filiera italiana è chiara: sensibilizzare le imprese locali americane (ristoranti, enoteche, hotel) danneggiate dai dazi, affinché facciano sentire la loro voce presso i rappresentanti politici al Congresso.

Parallelamente, l’Italia punta a rafforzare le piattaforme di dialogo e informazione, come la seconda edizione di Vinitaly USA Chicago prevista per ottobre. “Dobbiamo restare il più possibile vicini e concentrati, ascoltare le tendenze del mercato e assicurarci di integrare ogni stimolo“, afferma Rebughini. Si accelera anche sulla diversificazione dei mercati: il Canada appare un’opportunità interessante, grazie allo spazio lasciato libero dal calo della domanda di vino USA. Anche Messico e Brasile sono visti come mercati emergenti e dinamici. Veronafiere, dopo la prima fiera in Kazakistan nel 2024, intende replicare quest’anno, mentre si guarda con interesse anche all’India. Tuttavia, Rebughini è realista: “gli USA sono insostituibili per volumi e fatturato“, sottolinea, ricordando la crescita del 6.5 per cento dell’export italiano verso gli USA rispetto al 2023. “Ogni mercato potenziale presenta anche molti rischi. Vogliamo essere cauti e restare il più vicini possibile agli Stati Uniti“.  

Dal lato americano, la preoccupazione è palpabile. Se per ora il rallentamento colpisce soprattutto i piccoli produttori, Rebughini avverte che l’effetto reale si vedrà quando il dollaro debole inciderà sul potere d’acquisto dei consumatori. I distributori USA sono profondamente preoccupati dalla volatilità e dall’incertezza. Francis Creighton, Presidente e CEO della Wine and Spirits Wholesalers of America (WSWA), intervenendo a Washington, ha esortato tutti gli attori a mantenere aperto il dialogo e a far comprendere all’amministrazione che il vino è un prodotto unico, non un bene qualsiasi. “Mettere un dazio pesante sul vino italiano non significa che io sposterò i miei acquisti sul vino californiano. Significa che uscirò del tutto da quella categoria“, ha ammonito.

Il punto cruciale, infatti, è che i dazi non danneggiano solo i produttori europei, ma l’intera filiera vinicola statunitense. Come ha ricordato Harmon Skurnik di Skurnik Wines: “ogni dollaro speso per vini importati genera oltre 4,50 dollari di ricavi per le aziende americane”. L’impatto tariffario, dunque, rischia di essere maggiore sulle imprese americane (importatori, distributori, retailer, ristoranti) che sul paese esportatore. Un danno autoinflitto che la strategia italiana cerca ora di evidenziare e contrastare, in attesa della scadenza del 9 luglio.

Redazione AIS
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