Lo Sherry è alla ricerca di una rivincita
A Jerez de la Frontera, Sanlúcar de Barrameda e El Puerto de Santa María – scrive Eric Asimov – “la storia è stata ignorata per decenni man mano che il business dello Sherry cresceva e si consolidava, concentrandosi su prodotti economici e di massa“. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di bottiglie destinate ai mercati esteri, Gran Bretagna in particolare, che però negli anni hanno dimostrato di gradire sempre meno quella categoria di prodotto. Il risultato? I terreni a vigneto sono passati da 28.000 a 6.000 ettari. Nell’ultimo decennio, però, come forma di reazione a una situazione di stasi, un piccolo gruppo di viticoltori ha deciso di dedicarsi alla zonazione, alla riscoperta di varietà quasi estinte e alla vinificazione di varietà anche non fortificate, producendo vini di altissima qualità, capaci di esprimere con straordinaria precisione il luogo in cui sono state coltivate le uve.
Una nuova generazione di produttori sta lavorando sodo per mappare le zone di produzione dello Sherry e restituire ai vini, anche non fortificati, la propria individualità.
Da tempo, in effetti, si sa che il terreno bianco del posto, l’albariza, è perfetto per le piante di vite. Ramiro Ibáñez e Willy Pérez, massimi esperti del suolo della zona, ne distinguono ben tredici diversi, dall’albariza lentejuelas (granulosa come le lenticchie) all’albariza barajuelas (distribuita in lastre, come un mazzo di carte). Dalla lentejuelas nascono i vini più freschi e delicati, tipici della zona costiera di Sanlúcar; dalle barajuelas quelli potenti e concentrati, tipici dell’entroterra di Jerez. Quanto alla pratica della fortificazione, a sentire Ibáñez, si tratta di uno sviluppo recente: “fino agli anni ’70 solo i vini economici erano fortificati“. In passato – continua – “lo Sherry fino raggiungeva naturalmente il 15% di alcol facendo essiccare l’uva su stuoie d’erba al sole prima della fermentazione“. I risultati di tanta competenza e impegno? Eccellenti, come vi racconta Eric Asimov sul Times.