Monferrato Evo, Meat & Wine
La sede nazionale AIS a Milano ha ospitato una Masterclass dedicata ad un territorio che parla attraverso l’olio, la carne e il vino.
Il Monferrato si racconta, e lo fa con la naturalezza di un territorio che si mostra disponibile, accogliente, variegato e, soprattutto, senza filtri. La masterclass “Monferrato Evo, Meat & Wine”, è stata una di quelle occasioni che trasformano un assaggio in un ritratto collettivo, alla scoperta non solo di prodotti e produttori, ma di paesaggi e geografie.
La giornalista Chiara Cane, moderatrice della serata, ha accompagnato il pubblico in un percorso che ha intrecciato storie di agricoltori, amministratori, allevatori, sommelier e produttori: un racconto corale dove la Presidente provinciale Monica Monticone (Coldiretti Asti), il Delegato AIS Daniele Guaschino, la chef-allevatrice Giovanna Soligo, i sommelier dell’olio Anita Casamento Aquilino e Gigi Ronchetti, insieme ai sindaci di Moncalvo e Olivola, hanno composto una vera geografia emotiva del Monferrato.
Prima che iniziasse la degustazione, è stato evidente a tutti che questo territorio sta vivendo una fase nuova. Gli ulivi tornano a popolare le colline, i vigneti si espandono in aree una volta marginali, la razza piemontese resta custode di tradizioni e cure che hanno bisogno di uomini e donne per continuare a esistere. Il Monferrato rinasce non perché cambia pelle, ma perché torna alla propria identità più luminosa.

L’Olio del Monferrato: un ritorno che profuma di terra e di luce
La degustazione degli oli si è trasformata in un viaggio attraverso colline, microclimi, storie familiari e scelte coraggiose. È stata Anita Casamento Aquilino, vicepresidente del Consorzio per la tutela dell’olio extravergine del Piemonte e Valle d’Aosta, a ricordare come la coltivazione dell’olivo non sia un’esotica novità, ma un ritorno: “L’ulivo c’era già. Ci ha aspettati. E noi siamo tornati”.
Il primo assaggio, Unicum dell’Azienda Agricola Oliveira di Olivola, ha aperto la serata con un fruttato verde intenso, vivo, quasi tagliente nella sua luminosità. Il blend di undici cultivar, coltivate in una conca protetta dalla gelata, ha raccontato un olio generoso, erbaceo, profondo, dove la foglia, la mandorla fresca e il carciofo si fondono con un piccante nitido e pulito. Sulla battuta di Fassona, essenziale e non condita proprio per rispettare la materia prima, questo olio ha trovato una compagna ideale: la sua energia vegetale ha esaltato la dolcezza naturale della carne e ne ha disteso la fibra, rendendo ogni boccone più vibrante.

Il passaggio successivo è stato più morbido, più mediterraneo: Monferrato Selvaggio dell’Azienda Silvio Morando di Vignale. Qui la predominanza del Leccino porta note più mature, profumi di frutta e di erbe aromatiche; il piccante cresce piano, quasi educato, mentre l’amaro resta una carezza lieve. È stato l’olio più armonioso sul vitello tonnato, grazie alla sua natura più rotonda e al suo profilo meno verde: ha dialogato con la salsa senza sovrastarla, mettendo in luce la delicatezza della carne e la finezza della maionese fatta dalle uova dell’agriturismo della chef.
L’Azienda Cascina Allegra di Ottiglio con il suo Zotengo ha portato in sala un blend a prevalenza Leccino e Frantoio in equilibrio perfetto tra fruttato maturo e dolce-amaro da nocciola. Pomodoro, mela, foglia d’olivo e una speziatura delicata anticipano un piccante persistente, che rimane a lungo come un ricordo caldo di campagna. È stato straordinario sul roast beef, dove il suo carattere morbido e il suo dolce-amaro naturale hanno risposto alla succosità della carne, valorizzandone la texture e chiudendo il boccone in perfetto equilibrio.

Origini, dell’Azienda Valentino Veglio di Moncalvo, ha rappresentato l’essenza del Frantoio in purezza: un verde brillante che lascia presagire freschezza, un amaro immediato e un piccante che affiora lentamente, definito da una struttura polifenolica importante. La sua natura tesa, vegetale ed energica ha fatto da contrappunto molto interessante alla battuta, creando un abbinamento acceso, quasi dialettico, dove olio e carne si rincorrevano senza mai sovrastarsi.
Poi la sorpresa di un progetto nato quasi “per sbaglio”: xSbaglio dell’Azienda PerSbaglio di Nizza. Leccino, Grignan e Leccio del Corno si uniscono in un fruttato verde medio, netto, onesto, che mostra quanto la giovane olivicoltura piemontese sia in fermento. La sua pulizia gustativa lo ha reso piacevole sul vitello tonnato, dove la delicatezza del piatto trovava un compagno equilibrato e mai invadente.

Infine, il Marino dell’Uliveto Casa Carucci di Casorzo, un Grignan in purezza di straordinaria finezza. I profumi di erba fresca, fiori bianchi e mandorla anticipano un piccante profondo, che arriva in fondo alla gola come una lama luminosa. L’amaro, più timido, arriva dopo, integrandosi con grazia. È stato l’olio più sorprendente sul roast beef, dove la potenza aromatica ha disteso la sapidità della carne e ne ha messo in risalto la naturale tenerezza.
Il lavoro di Giovanna Soligo è stato fondamentale: piatti costruiti su verità, non su tecnica. Nessuna spezia, nessuna correzione, nessun orpello. Solo materia prima che dialogava con l’olio e con il vino, lasciando che il territorio parlasse da sé.

Il Vino del Monferrato: la doppia anima di Grignolino e Barbera
La seconda parte della masterclass ha portato il pubblico in un territorio altrettanto identitario, quello del vino. A guidare il percorso, Daniele Guaschino, Delegato AIS di Casale Monferrato, che ha raccontato con lucidità e passione le due anime enologiche del Monferrato: la finezza speziata del Grignolino e la ricchezza strutturale della Barbera e del Nizza DOCG.

Il Grignolino è stato presentato come un vino che ha smesso di dover “chiedere scusa” per il suo colore. Quel melograno-corallo che sfuma verso il peonia e, nelle riserve, verso l’aranciato, non è un limite ma un segno distintivo. Un vino identitario, che preferisce la trasparenza alla potenza, la finezza alla muscolarità. Profumi di ribes e agrumi, rosa canina e geranio, erbe aromatiche ed eucalipto lo rendono riconoscibile, quasi inconfondibile. La sua acidità elegante e la lieve nota tannica finale completano un profilo che è puro Monferrato.
Il pubblico ha potuto comprenderlo attraverso tre interpretazioni diverse – Solitario 2023, Altro Mondo 2023, Terre Bianche 2016 – che hanno dimostrato come una sola varietà possa raccontare sfumature di paesaggio completamente differenti. E ognuno dei tre vini ha trovato il proprio piatto: i due grignolini più giovani hanno abbracciato con naturalezza la battuta, grazie alla loro acidità e alla leggera speziatura che puliva il boccone; la versione riserva, più complessa e profondamente sfaccettata, ha stretto un legame sorprendente con il vitello tonnato, dove la struttura del vino teneva testa alla morbidezza del piatto, creando un connubio elegante.

Poi la Barbera, descritta con l’immediatezza di una slide che sembrava un colpo di luce sul bicchiere: colore ricchissimo, toni rubino e carminio, che nella maturità si spingono verso il granato intenso. La Barbera del Monferrato è frutto e calore: ciliegia, fragola, prugna; peonia e rosa; un universo speziato che, nel legno, si addensa in tabacco, fiori secchi, cacao. È un vino che vive di acidità e di una robustezza naturale che lo rende versatile e gastronomico.

Il Nizza DOCG ha portato la sala in un’altra dimensione: quella dell’opulenza ben calibrata. Carlo Magno 2021, Bastianèt 2017 e Cru San Michele 2018 hanno mostrato cosa significa interpretare la Barbera in chiave di territorio. Sono stati i vini che più hanno dialogato con il roast beef, perché la grassezza contenuta della carne trovava nell’acidità della Barbera un contrappunto perfetto, mentre la struttura del vino accoglieva la succosità e la profondità del piatto.

La forza del Monferrato sta nella sua coralità
La chiusura della serata ha fatto emergere un messaggio forte: il Monferrato è un territorio che funziona quando lavora insieme.
Olio, carne, vino non sono compartimenti stagni: sono i tre alfabeti con cui questa terra scrive la propria storia. Una storia fatta di agricoltori che resistono, amministratori che credono, produttori che innovano, chef che custodiscono i saperi.
È un Monferrato che non ha bisogno di sovrastrutture.
Per raccontarsi gli basta un calice di vino, un filo d’olio, una battuta di Fassona.
E la voce di chi lo abita ogni giorno.

