Non solo Spritz: i giovani iniziano a bere il vino. Ma non è quello che ci aspettiamo

Come togliere dalle mani il bicchiere di Gin Tonic e di Spritz e mettere al suo posto un calice di vino ai ventenni e trentenni? Ce lo chiediamo in molti.
In primis se lo chiedono le aziende vitivinicole, che si arrovellano con strategie di marketing e comunicazione dedicate proprio a quella fascia d’età.
Se lo chiedono i ristoranti, le enoteche e i wine bar, che devono decidere se puntare a questa tipologia di consumatore e di conseguenza capirne le esigenze e sapere cosa proporre.
Ce lo chiediamo noi giornalisti ed esperti di comunicazione, desiderosi di raccontare la realtà che riguarda il mondo del vino, in tutte le sue sfaccettature, ma che al momento restiamo un po’ disorientati perché non abbiamo compreso se e come i giovani sono inseriti all’interno del regno di Bacco o come coinvolgerli.

Il vino costa troppo per i giovani
Partiamo da un ragionamento semplice: Il vino costa troppo. Quella fascia d’età compresa fra i 20 e 30 anni è alle prese con gli studi universitari, nella maggior parte dei casi, e dunque per loro i protagonisti alcolici sono principalmente lo Spritz all’orario dell’aperitivo o il Gin Tonic quando si fa “serata”. E c’è la famosa “birretta con gli amici” che resta un momento di condivisione generazionale piuttosto forte.
Certo, possiamo subito dire che negli anni è aumentato il consumo del Prosecco al momento dell’aperitivo, anche se non si tratta di un vero exploit, soprattutto per la disomogeneità a livello territoriale del fenomeno.
Poi c’è da ricordarsi che lo Spritz che si beve durante l’aperitivo ha certamente una sua connotazione, ovvero è la bevanda che accompagna la stuzzicheria. E il costo è compreso all’interno dell’aperitivo o apericena. Diciamo che, con le dovute differenze fra locali e territorio, fra i 12 e 15 euro si fa un aperitivo piuttosto sostenuto compreso di Spritz.
Il Gin Tonic è invece maggiormente dislocato a dopo cena, ha prezzi che possono variare dai 6-7 euro fino a 10/12 euro (e più) in base alla tipologia di Gin che si vuole bere e ovviamente in base al locale dove viene somministrato.
E il vino? Certamente negli aperitivi spesso è possibile abbinare un calice di Prosecco (come detto) o di vino fermo, bianco o rosso. Ma resta una scelta ancora poco battuta.
Anche perché poi si giunge a un’impasse, che introduce il secondo ragionamento, ovvero la cultura del vino, la conoscenza. Spesso il vino non viene considerato nei contesti giovanili per l’imponente portata culturale di cui è rivestita la bevanda: “Che vino scelgo? Sarà buono quello che mi propongono con l’aperitivo? Meglio bere il mio Spritz e vado sul sicuro”.
Questo perché nell’immaginario collettivo, per quanto riguarda il vino, più questo è costoso, più aumenta la certezza che sia buono. Un pensiero che spesso corrisponde al vero, ma che lascia fuori una buona fetta di realtà. Ragionamento che porta i giovani a non legarsi al vino.

Culturalmente il vino è “impegnativo” per i giovani
E allora veniamo al dunque, ovvero l’aspetto culturale. Il vino, cosa comunica? O meglio, cosa cercano di comunicare le aziende che producono e vendono vino? Comunicano quello che da sempre viene evidenziato, ovvero la grande qualità del prodotto, le tecniche colturali ed enologiche adoperate, la grande storia dell’azienda, spesso identificata con Feudi, Castelli, Regni, Casate nobiliari, Vassalli, Valvassori e Valvassini, Conti e Duchi che diventano protagonisti delle etichette delle bottiglie di vino. Una narrazione affascinante, insomma, che difficilmente però riesce a catturare l’attenzione dei più giovani. Così come l’affinamento in botti di rovere francese o in barrique di primo, secondo o terzo passaggio, non rappresentano argomentazioni interessanti per chi ha vent’anni o poco più.
Nonostante questo, le aziende vinicole cercano in tutti i modi di coinvolgere le nuove generazioni, provando a “infiocchettare” i loro prodotti, travestendoli da qualcosa “no-boomer” ma che in pochi casi riescono a non essere smascherati dai ventenni della generazione dello Spritz.
E poi, perché un ventenne universitario dovrebbe comprare una bottiglia costosa di Barolo, stapparla un’ora prima per permettere al vino di “aprirsi”, sprigionare gli infiniti sentori di frutta matura in confettura, grafite, cuoio, polvere da sparo, tabacco, eccetera? Ammettiamolo, si tratta di un’immagine piuttosto distante dalla realtà. Una stonatura culturale che poggia su basi per niente solide.

Vini biologici e naturali
Bisogna senz’altro coinvolgere i giovani e portarli all’interno del vastissimo mondo del vino. Ma come?
Esiste un mercato del vino che ogni anno guadagna terreno, ovvero i vini biologici e soprattutto i naturali. Una proposta enologica senza dubbio più in linea con i “valori” delle generazioni più giovani.
A venti e trent’anni la questione ambientale, la ricerca del biologico e del naturale, in opposizione all’intervento massiccio sull’ambiente perpetrato da parte dell’uomo nei decenni passati, rappresentano argomentazioni molto forti. La sostenibilità ambientale, il lavoro essenziale nei filari e in cantina, l’ascolto di Madre Terra e delle sue specificità, richiamano certamente un fitto sistema di convinzioni e sentimenti. Ecco allora che i giovani in questi contesti già iniziano a entrare “naturalmente”.
Lo si osserva nelle varie fiere e manifestazioni di vino naturale che si svolgono in Italia, dove la presenza dei giovani è piuttosto importante, specie se paragonata a quella registrata agli eventi che promuovono il vino “tradizionale”.
Il vino naturale parla il linguaggio dei più giovani, perché costa mediamente meno (non è vero in assoluto, anzi, negli ultimi anni i prezzi sono lievitati), raccontano una realtà produttiva dove oltre al rispetto per l’ambiente spesso i protagonisti sono altri giovani che si sono reinventati produttori o hanno convertito la “vecchia” azienda di famiglia.
E poi il gusto. In un interessante articolo de Il Gambero Rosso si cerca di costruire l’identikit del consumatore di vino moderno. In tal senso, in coerenza con il nostro discorso, si guardano maggiormente vini più semplici rispetto a quelli più complessi dove fermentazioni e affinamenti in legno caratterizzano molto il prodotto finale. Anzi, il nuovo consumatore cerca vini con gradazioni alcoliche più basse, in contrapposizione a quanto avveniva soprattutto qualche anno fa.
Un esempio calzante riportato dalla rivista è quello dei vini prodotti con metodo ancestrale o quelli prodotti in anfora, che mediamente, anche per i rossi, non raggiungono gradazioni alcoliche particolarmente elevate.
Insomma, non molto alcolici e sempre più naturali. Con una sorta di ritorno alle origini della produzione. Elementi che senz’altro attirano già i consumatori di vino più giovani e, forse, ne potranno attrarre sempre più.

Ha senso cercare di convincere i giovani a bere Barolo o Brunello di Montalcino?
Alla fine di tale riflessione, è necessario tirare le fila e capire meglio il quadro. I giovani fra i 20 e 30 anni preferiscono in media bere Spritz e Gin Tonic anziché il vino, sia per quanto riguarda i costi medi da sostenere ma soprattutto per una questione culturale.
Tuttavia si osserva che i giovani di quella fascia d’età maggiormente interessati al vino, cercano prodotti sempre più naturali, che raccontano valori come la sostenibilità ambientale e il rispetto della Terra. Vini naturali, magari con gradazioni alcoliche non molto sostenute, che ben si sposano con il gusto dei più giovani e che probabilmente coincide con il profilo del consumatore di vino moderno.
Insomma, forse bisognerebbe smetterla di aspettarsi che i ventenni comprino una bottiglia di Barolo o di Brunello di Montalcino, perché il mondo va verso un’altra direzione.
E poi, come la maggior parte di noi winelover, la passione per le barrique e i sentori di tabacco o polvere da sparo anche per questi ventenni arriverà più avanti, fra qualche anno.

La foto di apertura è di Quan Nguyen su Unsplash