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09/05/2024
Di Redazione AIS

P laneta rilancia: la nuova sfida biodinamica 

 L’iconica cantina siciliana si unisce a investitori francesi per creare vini in un angolo incontaminato dell’isola, esplorando la biodinamica. Se ne parla su Wine Spectator.

A trent’anni dal suo esordio rivoluzionario nel panorama vinicolo siciliano, Planeta, la cantina diventata emblema della rinascita enologica dell’isola, dimostra ancora una volta di non volersi fermare. Come racconta il giornalista Robert Camuto nel suo recente articolo, l’azienda siciliana ha intrapreso una nuova, audace avventura: Serra Ferdinandea, un progetto che unisce capitali francesi, viticoltura biodinamica e un terroir siciliano ancora vergine.

Fin dagli anni ’90, ricorda Camuto, Planeta ha scosso il mondo del vino, prima con uno Chardonnay che sfidava i preconcetti sui bianchi siciliani, poi espandendosi con lungimiranza in tutta l’isola: da Vittoria a Noto, fino alle pendici dell’Etna e all’estrema punta di Capo Milazzo. Oggi, con oltre venti etichette e una produzione annua che supera le 16.000 casse, Planeta rappresenta un raro esempio di equilibrio tra tradizione e sperimentazione, radici locali e visione internazionale, sempre profondamente siciliana. Basti pensare alla tenuta sull’Etna, dove accanto ai classici Etna, si coltivano pinot nero e riesling oltre i 1000 metri di altitudine.

“Abbiamo sempre evitato la nostra comfort zone“, afferma Alessio Planeta, 58 anni, CEO e anima enologica dell’azienda, cresciuto sotto l’ala dello zio Diego e del maestro Giacomo Tachis. La famiglia, di nobili origini spagnole radicate in Sicilia da 500 anni, ha sempre investito sull’isola, diversificando anche nell’arte e nell’ospitalità di alto livello, senza mai cercare partner stranieri.

Fino a circa sei anni fa. È allora che, come descrive Camuto, Planeta ha deciso di cambiare rotta, unendosi alla famiglia francese Oddo – investitori attivi in vari settori, dall’energia rinnovabile all’immobiliare, con interessi vinicoli dalla Provenza a Sancerre fino al Sud Africa. “Avevo questo sogno di portare investitori in Sicilia, costruire un progetto insieme e condividere esperienze,” confida Alessio Planeta a Camuto, sottolineando come il progetto Serra Ferdinandea sia stato concepito per essere indipendente, con vigneti, staff e una cultura propri.

Nel 2019, le due famiglie hanno acquistato circa 110 ettari a Sambuca di Sicilia. Un’area collinare e selvaggia, tra i 400 e i 600 metri sul livello del mare, caratterizzata da boschi e pendenze. “Un luogo mai toccato dalla mano dell’uomo“, lo definisce Planeta nell’articolo.

La sfida lanciata da Planeta, responsabile della parte agronomica ed enologica, è stata doppia: agricoltura biodinamica e aridocoltura (dry farming). L’idea, racconta Camuto, è puntare a basse rese per ottenere uve perfette, affidarsi a lieviti indigeni per la fermentazione e trasformare il frutto con “cura maniacale“. Il progetto Serra Ferdinandea – il cui nome evoca l’isola vulcanica emersa e scomparsa nel 1831 al largo della costa, contesa tra Borboni, Francesi e Inglesi – doveva anche fondere varietà siciliane e francesi. Sono stati piantati circa 18 ettari su suoli calcarei di origine marina, scegliendo grillo e sauvignon blanc in parti uguali per il bianco, e nero d’Avola e syrah per rosso e rosato. “Le varietà sono strumenti per esprimere il terroir,” spiega ancora Planeta.

Sebbene tutte le tenute siano certificate biologiche, la biodinamica era una novità, sottolinea Camuto. Serra Ferdinandea attende la certificazione (prevista per questa primavera), ma l’intenzione è estendere questo approccio anche ad altre tenute, a partire dall’Etna. “La biodinamica mi ha insegnato che non devi forzare una vigna“, riflette Planeta. “In un certo senso, è un ritorno al passato“. Nonostante le ultime due annate siano state difficili in Sicilia a causa di peronospora e siccità, i vigneti di Serra Ferdinandea, grazie all’altitudine e ai venti, hanno resistito bene.

Camuto riporta le impressioni di degustazione con Cecilia Carbone, la giovane project manager di Serra Ferdinandea. Il bianco 2023 è descritto come “elegante e vibrante“, frutto di una pressatura soffice e fermentazione prevalentemente in legno. Il rosso 2021 (syrah-nero d’Avola) risulta “agile e speziato“, un vino dai toni fruttati che riflette il clima fresco e l’altitudine. Questi vini, secondo Planeta, sono una risposta alla crescente domanda di “vini naturali“, interpretata come un “grido del consumatore“. “I vini sono fatti in modo naturale, ma sono puliti“, afferma Planeta a Camuto, aggiungendo con una risata: “Qualcuno si è lamentato che sono troppo puliti. Cosa significa? La stessa armonia che c’è in natura, la vogliamo nel bicchiere. Non volevamo aggiungere nulla tra il terroir e il calice“. 

Il racconto di Camuto si chiude con una passeggiata nella tenuta, tra boschi incontaminati, un piccolo allevamento di bovini per il compost, api nere siciliane e campi coltivati a rotazione, evidenziando l’importanza della biodiversità. Ma l’articolo mette in luce anche un altro aspetto: la continua curiosità di Planeta e le lezioni apprese da questa partnership bi-culturale. Mentre Planeta gestisce la produzione, gli Oddo curano la commercializzazione internazionale. “È interessante vedere come lavorano i francesi“, osserva Planeta nel resoconto di Camuto, notando le differenze nell’approccio commerciale. “I francesi sono più ‘dealers’. Noi siciliani abbiamo relazioni commerciali molto lunghe e personali… Siamo produttori, non venditori“, ammette, riecheggiando un sentimento storico siciliano. “Hanno una fiducia in sé stessi di gran lunga maggiore della nostra“.

Questa nuova avventura, insomma, non solo sta dando vita a vini singolari, ma sta anche arricchendo l’esperienza di una delle famiglie più importanti del vino italiano, confermando la loro instancabile volontà di esplorare e innovare, senza mai adagiarsi sugli allori conquistati.

Redazione AIS
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