Pantelleria, la vite ad alberello e l’Unesco
La pratica agricola della vite ad alberello di Pantelleria celebra dieci anni come Patrimonio Immateriale Unesco. Una ricorrenza importante celebrata dal Parco Nazionale Isola di Pantelleria e dal Consorzio Vini di Pantelleria: eventi, degustazioni e incontri. L’occasione per conoscere e approfondire lo zibibbo e il taglio contemporaneo dei vini panteschi.
Arrivando dal cielo l’isola sembra piccola e fragile: in realtà sono 80 chilometri quadrati, ben saldi oltre 2.000 metri di profondità: si tratta di Pantelleria, un rigurgito di lava e di ossidiana originata da un’eruzione vulcanica nel mezzo del Mediterraneo. Italiana, ma incredibilmente più vicina alla Tunisia, da cui dista soltanto 70 chilometri, al centro del canale di Sicilia, lungo il rift tra Europa e Africa. Pantelleria è fatta di mare, di cielo e di fuoco, senza soluzione di continuità: l’azzurro si perde e si confonde con il nero della lava e della pietra dei dammusi, le tipiche abitazioni dell’isola a pianta quadrata e dal tetto a cupola, sempre affamati di acqua, poca, che arriva dal cielo. Bianco e rosa sono i colori dei dammusi intonacati, che si alternano a quelli lasciati in pietra viva, che dominano il paesaggio come piccoli parallelepipedi, segno tangibile della presenza umana. L’isola ha un legame profondo con la tradizione araba: contrade come Bukkuram, Khamma, Rekhale, Gadir, Kattibuale, Farkhikhalà, Kazzen, Gelkhamar, Khaddiuggia, Karuscie, Triqbonsulton e Bugeber sembrano esprimere, anche nella difficoltà lessicale, il senso della fatica.
La storia
Non è un’isola da mare, ma da amare: amare per ciò che è, selvaggia e indomita, per via dell’origine vulcanica, che sembra risalire a 300mila anni fa. Bent El Rhiat, così la chiamarono gli Arabi, figlia del vento. Qui si sono succedute molte civiltà dai Fenici, ai Sesi e ai Romani, per arrivare agli Arabi, ai Normanni, agli Aragonesi e agli Svevi: ogni conquistatore ha lasciato un segno della propria cultura e Pantelleria è una culla della storia del Mediterraneo sin dalla notte dei tempi. Pantelleria è un’isola vulcanica: non si tratta di geologia o di morfologia, ma di un fuoco sacro che accende e scatena gli elementi della natura in una continua rincorsa. Pulsa un’anima inquieta: la bellezza è nell’assoluto dinamismo di un’alternanza rapida tra acqua, aria, terra e fuoco. L’archè, il principio secondo gli antichi Greci, la forza primigenia che governa il mondo, abita qui. Il vulcano, la Montagna grande, con i suoi 836 metri di quota, domina l’isola: potrebbe aver dato il nome a Pantelleria che, etimologicamente, sembra derivare dall’espressione panthera, dal profilo delle alture intorno alla Montagna, che assomigliano ad una tenda in grado di intercettare gli uccelli lungo le rotte migratorie.
I numeri del Consorzio
I dati di produzione 2023 diffusi dal Consorzio, nato nel 1997, parlano di 322 viticoltori presenti a Pantelleria, di cui 22 vinificatori. La superficie Docg rivendicata è pari a 406 ettari e l’uva prodotta per la Doc è di oltre 17.600 quintali quintali. La tradizionale densità di impianto è di circa 2500 piante per ettaro, al fine di garantire alle vigne un sufficiente apporto idrico. Per l’orografia dell’isola e la forma tipica di allevamento, la viticoltura di Pantelleria è a meccanizzazione e rese molto basse, con un’alta intensità di lavoro manuale. Il Consorzio dei vini a DOC dell’Isola di Pantelleria tutela e promuove la denominazione Pantelleria Doc, vigilando sul rispetto delle norme previste dal disciplinare di produzione. Per la sua ampia rappresentatività, ha ricevuto il riconoscimento Erga Omnes.
La vite ad alberello
Con questa modalità a Pantelleria viene allevato lo zibibbo, ovvero il moscato di Alessandria. Dal 2014 la vite ad alberello è iscritta nel Registro Unesco dei Beni Immateriali dell’Umanità: a questo importante riconoscimento si è aggiunta l’istituzione del Parco Nazionale Isola di Pantelleria, oggi diretto da Sonia Anelli, che si occupa di tutelare la viticoltura eroica dell’isola. Le condizioni sono estreme, eroiche, coraggiose e temerarie, con assoluta scarsità di acqua e il vento che non soffia, ma sbuffa forte e potente da più direzioni: Maestrale, Grecale, Ostro, Scirocco e Libeccio prendono la rincorsa da lontano e muovono acqua e terra. Il sole cocente e le temperature tropicali soprattutto durante i mesi estivi rendono difficile anche l’esistenza per l’uomo. La vite è lì da migliaia di anni, e non si muove. Resistente e resiliente, in molti vigneti è ancora a piede franco, perché la fillossera non ha gradito il sottosuolo vulcanico. La vite ha imparato nei secoli ad adattarsi a un ambiente complesso e apparente ingrato per sopravvivere: si è fatta bassa, interrata in fosse scavate per cercare riparo dal vento e trattenere la poca acqua, proteggendola dalla calura. Ingratitudine dei luoghi che si rivela invece benefica, perché il moscato di Alessandria, o zibibbo che dir si voglia, qui ha trovato le condizioni ideali per esprimere il meglio di sé. Diventa oro, il colore prima delle uve e poi del vino. La pianta della vite, così bassa ed apparentemente fragile, è in realtà un concentrato di coraggio e spirito indomito: non si è piegata ad una natura complessa e, come la roccia, dritta come un fuso respira e, da tutto ciò che ha intorno, assorbe aromi, umori e sapori: la vite ha dovuto scendere a patti con l’isola, ma mai ha alzato i tralci in segno di resa. Abbarbicata su pendenze elevate, guarda il mare: sembra quasi sorrida, perché l’orizzonte è libero. Salvatore Murana, uno dei produttori più iconici dell’isola: “Non sono solo le piante ad aver bisogno di una manutenzione costante. Anche le nostre case, i muretti di contenimento dei terrazzamenti, tutte quelle strutture a secco che costituiscono l’essenza dell’architettura pantesca, richiedono attenzione e cura. Non va dimenticato che si tratta di tecniche di costruzione calibrate nel tempo e pensate per resistere ai climi estremi, ma sempre sotto tutela e controllo dell’uomo che li abita e li vive”. In questa condizione di viticoltura c’è un profondo senso di libertà, di autonomia, di forza primordiale. La vite e l’isola non temono nulla, nonostante tutto: ci si domanda come sia possibile. Spirito di sacrificio? Abnegazione? Eroismo? Sono domande che non hanno risposta, perché tutto qui sembra funzionare alla perfezione, con la bellezza mai superba e la dignità nobile e agricola di luoghi unici al mondo, perché diversi da tutto il resto. Inafferrabile, inspiegabile, emozionante e commovente nella sua unicità. Anche la pianta del cappero è nana e strisciante: così affronta le condizioni ostili e crea un’alleanza strategica con la roccia e con il sale. Il coraggio e la tenacia nella sopravvivenza non sono mai amplificati, ma contenuti: si tiene ciò che resta, come in cucina. Essenzialità: delle linee e del carattere del vino, al pari di quello dei viticoltori. Senza mai perdere entusiasmo ed energia. Perché Pantelleria è fatta di opposti ed estremi, che finiscono non solo per cercarsi, ma per amarsi.
Il terroir
I terreni solo prevalentemente sabbiosi di origine vulcanica, caratterizzati da forte pendenza e coltivati grazie ai terrazzamenti contenuti da muretti a secco. Il clima è siccitoso, con poca pioggia, pari a circa 400 millimetri l’anno. Il verde della vegetazione, fatta di piccoli arbusti da macchia mediterranea, si perde tra il grigio della scogliera. Mirto, aglio selvatico, rosmarino, menta, ginepro, corbezzolo, origano ed erbe aromatiche si perdono tra rocce e giardini ormai dismessi, all’ombra di pini marittimi e d’Aleppo e di lecci. La pianta del cappero: prima arriva il profumo, poi il fiore ed infine il frutto. Sa di sale, che viene fissato dal vento sulla pelle. E infine l’olivo, pregiatissimo per Pantelleria, con sentori di grande acidità e piccantezza. Oltre 400 le specie floreali spontanee: una biodiversità sorprendente per un ambiente così complesso e al limite del coltivabile. Pantelleria potrebbe essere definita come una sorta di civiltà della pietra: dammusi, terrazzamenti, muretti a secco e giardini panteschi definiscono un paesaggio fatto di sassi e di roccia. Per rendere adatta la viticoltura in un ambiente complesso, la mano dell’uomo è stata essenziale: l’antropizzazione a Pantelleria è lo strumento per rendere coltivabile la vite, l’olivo e il cappero. Mastro Ivan di Cantine Pellegrino 1880 ci mostra la costruzione di un muretto a secco in un impianto che la proprietà ha recentemente rilevato: le pietre hanno nomi diversi a seconda della dimensione e la sensazione è che chi lavora a contatto con i sassi abbia imparato a dialogare con la roccia vulcanica. Le coste pericolose e il mare dalle correnti indomabili hanno reso Pantelleria non un’isola di pescatori, ma di contadini. Ogni vigneto prevede una parte destinata alla vite, un angolo riservato al cappero, una parte al fico d’India e ai lecci: l’uomo ha saputo dedicare ogni porzione di suolo alla specie più idonea. Biodiversità e quindi differenziazione, per un paesaggio che non è mai uguale a sé stesso Intorno all’antico vulcano ormai spento, si sono sviluppati altri crateri e sbocchi, dette “cuddie”: un dedalo di oltre cinquanta crateri che hanno un legame intenso con le viscere della terra. Il magma è sangue, che scorre nella profondità di Pantelleria. Sull’isola tutto lascia pensare a una difesa dei luoghi, figlia della volontà di tenere lontano l’ospite non gradito. Un fortino che va conquistato gradualmente: l’isola va assunta a piccole dosi, per poi lasciarsi travolgere completamente. Pantelleria è per molti, ma non per tutti, e la vite lo sa bene.
Il vitigno
Il vitigno dell’isola è lo zibibbo (moscato di Alessandria), una varietà aromatica che deve il suo nome all’arabo Zabi, ovvero uva secca. È testardo, impavido e caparbio: non vede o arretra di fronte a nulla. È forte e trasferisce la sua forza al viticoltore, che lo lavora in ginocchio, quasi in preghiera. Frutti benedetti, ogni millesimo un nuovo miracolo. Il problema dell’isola è la siccità, ma i ronchi vitati già a due metri di profondità riescono a trovare un terreno più umido, ricco di silicio. Le pietre porose dei muretti trattengono l’umidità, così come le buche scavate nel terreno dei vigneti in cui sono adagiate le piante. Ogni elemento si adatta per sopravvivere. Vendemmiare in ginocchio: nel gesto la sacralità di chi si inchina alla vite raccogliendone i frutti. Il vitigno si allea con la terra che restituisce uve in perfette condizioni: una viticoltura dirompente come le onde del mare e il fragore sugli scogli. La vite è una conquista, come tutto il resto a Pantelleria.
I vini
Durante le tre giornate a Pantelleria per la celebrazione dei 10 anni di Patrimonio Immateriale Unesco della pratica agricola della vite ad alberello, molte sono state le degustazioni organizzate dal Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione dei Vini a Doc, a cominciare da un workshop organizzato presso il Kirani Resort alla presenza del Presidente Benedetto Renda, dei Vicepresidenti Salvatore Murana e Giuseppe Chiaiesi e dei Consiglieri Fabrizio Gaetano Basile, Antonio D’Aietti e Andrea Errera, con gli interventi del Prof. Rosario di Lorenzo dell’Università di Palermo, del Direttore del Vivaio Paulsen Vincenzo Pernice, di Baldo Palermo di Donnafugata e di Sonia Anelli, Direttrice del Parco Nazionale Isola di Pantelleria. “Il nostro obiettivo è quello di far conoscere e apprezzare il valore della vite ad alberello non solo come metodo produttivo, ma come parte integrante della cultura e dell’identità di Pantelleria”, afferma il Presidente Renda: “Vogliamo celebrare insieme al Parco Nazionale, al Comune di Pantelleria, ai produttori e ai visitatori questo patrimonio inestimabile che ci permette di produrre vini di eccellenza, simbolo della nostra terra”. Le degustazioni hanno riguardato molti vini a base zibibbo vinificati in modalità differente, da frizzante a bianco secco fermo, dal metodo classico al celeberrimo passito. Medesime uve, vinificazione diverse: vini profondamente differenti tra loro, a testimonianza della versatilità dell’uva, della straordinaria acidità e della spiccata sapidità che la rende adatta a produzioni destinate a momenti diversi, dall’aperitivo al wine pairing con piatti a base di pesce, piuttosto che alla tradizionale pasticceria. Obiettivo del Consorzio è infatti quello di poter comunicare non solo la biodiversità dell’isola, ma anche quella dei calici, che hanno peraltro un’interpretazione importante anche sotto l’aspetto della gestione dell’alcol e della contemporaneità in ragione delle esigenze di mercato, che chiedono vini con una gradazione alcolica più contenuta. Pantelleria, passito e pasticceria: una metrica che, se da un lato ha reso famosi i vini dell’isola, dall’altro rappresenta una visione parziale dell’attuale produzione vitivinicola: perché oggi lo zibibbo si esprime con vini secchi di assoluta eleganza e contemporaneità, in cui le componenti aromatiche del moscato mai appaiono prepotenti e invadenti, ma assumono invece sfumature delicate e floreali, in presenza di una sapidità decisa: gelsomino, zagare, melissa, muschio, cedro, vegetale da ortica, ruta e erbe officinali al naso e al palato, con ingressi verticali e freschi. Anche nelle versioni frizzanti e spumantizzate con metodo Charmat, con qualche incursione nel metodo classico (il Matué Metodo Classico Pas dosé di Salvatore Murana), i vini sono freschi e salini: i descrittori aromatici lasciano spazio ad un sorso pulito, dissetante, con una fisionomia tesa e vibrante. Il Vivaio Federico Paulsen, che fa capo a Vincenzo Pernice, si occupa di attività, ricerca e sperimentazione: il centro ospita campi per quasi tre ettari di conservazione e di germoplasma di portinnesti di zibibbo: nella distesa di Ghirlanda l’allevamento delle piante madri di zibibbo è oggetto di ricerca per l’introduzione di tecniche di gestione innovative e razionali per l’isola (selezione di cloni che meglio si adattano alla siccità) e per lo studio delle interazioni clima-forma e di allevamento-portinnesto. In questo momento ricerca e prove si concentrano sui racemi per individuare una base acida corretta e sufficientemente alta per la spumantizzazione. Attraverso l’Enofoss, una nuova tecnologia a disposizione del centro, si applica un approccio sistematico ed ecosostenibile per lavorare nella direzione della spumantizzazione. Il Consorzio investe in ricerca e sviluppo, a testimonianza dell’interesse dei produttori di guardare avanti. Ospiti delle cantine Abraxas, Pellegrino 1880, Salvatore Murana, Fabrizio Basile, Emanuele Bonomo e Donnafugata, sono state numerose le occasioni di incontro e di degustazione. Vini come il Bianco Frizzante “A Mano Libera” o lo Zefiro di Vinisola, il Filì secco fermo della Cantina Ferreri, il Donna Elisa di Emanuela Bonomo, l’Alsine di Abraxas sono vini tersi, vivi, eleganti e perfetti per un aperitivo o un piatto di pesce. Vini come il Gadì di Salvatore Murana, il Sora Luna o il Trequartidiluna di Fabrizio Basile e l’Isesi di Pellegrino sono zibibbo fermo secco di rara eleganza, modernità e fascino: vini con la schiena dritta, gioventù senza età e con la testa alzata come solo chi ha cuore e carattere riesce ad avere, e entrano (e restano) nell’anima: i vini che non ti aspetti, così lontani dai cliché che l’immaginario collettivo vuole dolci e voluttuosi. Sono vini interpretabili, identitari e internazionali: l’essenza della contemporaneità che merita nuovi spazi, il giusto palcoscenico per un approccio diverso anche con i giovani. La DOC Pantelleria è celebre naturalmente per i passiti, mai passati e mai stucchevoli: mineralità e dolcezza, ricchi e godibili, dove l’albicocca, la frutta secca e la scorza d’arancia si con-fondono con le erbe aromatiche mediterranee e il sale del mare e della terra. Alla metà di agosto si procede con la prima vendemmia, seguita dall’appassimento dei grappoli maturi per circa 3 settimane: durante questa fase l’acino perde, con l’azione del vento e del sole, una buona parte delle componenti liquide, concentrando fibre, zuccheri, sali minerali e composti fenolici. A questa vendemmia ne segue un’altra, con cui si procede a una vinificazione del mosto fresco: qui vengono immesse, a più riprese, uve zibibbo precedentemente appassite, sgrappolate a mano per non danneggiare gli acini, molto delicati. Al termine della fermentazione il vino passa in vasche d’acciaio ed è sottoposto ad affinamento per alcuni mesi in bottiglia. Le sensazioni di questi luminosi passiti sono piacevoli, persistenti e fresche: sembra una sinestesia, ma la freschezza dei passati di Pantelleria è il segreto del loro magnetismo. Tra i vini degustati il Bukkuram di Marco De Bartoli, il Ben Ryé di Donnafugata, il Giardino Pantesco e il Nes di Pellegrino 1880, I Praie dell’Azienda Ferreri, l’Arbaria di Vinisola, il Sentivento di Abraxas, il Passito di Emanuela Bonomo e il Mueggen di Salvatore Murana (che ha ricevuto un premio speciale per aver contribuito alla valorizzazione della pratica agricola della coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria): sono vini che esprimono il calore e l’essenza mediterranea di Pantelleria. Sullo sfondo ricordano il sale della roccia e il profumo della lava scaldata dal sole, con sensazioni di albicocca disidrata, agrumi canditi, zagare, fieno, dattero, fico secco, rabarbaro e tamarindo, seguiti da sensazioni più smaltate e incensate a mano a mano che i millesimi vanno indietro nel tempo. Sono vini profondamente seduttivi, sensuali, caleidoscopici, dotati di incredibile freschezza che si fonde e compensa il residuo zuccherino, con colori che vanno dal dorato all’ambra: più che colore, si tratta di luce, quella del sole, di rara profondità e brillantezza. I vini non perdono mai vivacità, esuberanza e generosità: a tratti risultano saporiti, là dove la quota salata riesce ad avere maggiore ampiezza. Il perfetto equilibrio tra residuo zuccherino, acidità e parti sapide, sommate alla presenza di erbe aromatiche, rendono perfetti questi vini a tutto pasto. Oltre la pasticceria, oltre la dolcezza: lo zibibbo sa parlare al plurale, per incontrare gusti, consumatori, mercati e cucine che sono cambiate nel tempo. C’è un profondo senso di restituzione nel lavoro dei viticoltori di Pantelleria: non c’è sacrificio, tristezza o fatica nel loro fare, ma gioia, energia e grande dignità, sapendo che non solo il futuro sarà in buone mani, ma potrà scrivere nuove pagine di storia. Nelle parole di Fabrizio Basile il senso della viticoltura dell’isola: “Il tempo, la natura, l’isola stessa sono più forti della prepotenza umana. Non si può far altro che accoglierla con spirito d’osservazione, rispetto e intelligenza. Solo in questo modo, come il contadino pantesco, si può scoprire la vera bellezza di Pantelleria”.