Piadina Romagnola, vi sveliamo tutte le verità
“Hai più pensato a quel progetto di esportare la Piadina Romagnola?”
Così Samuele Bersani cantava in Freak vent’anni fa, ma l’invito a esportare la Piadina Romagnola era già stato raccolto, perché il progetto di industrializzazione della Piadina Romagnola, defraudandola dello status di “prodotto artigianale”, risale a ben prima. Uno dei primi e più noti “brand” frutto di un progetto di produzione su larga scala, risale al 1973; il prodotto si chiamava, e si chiama tutt’ora, Piadina Loriana. Forse era inevitabile che questo “pane dei romagnoli” dovesse fare la stessa fine di centinaia di altri prodotti e pagare lo scotto per poter un giorno aspirare al titolo di “patrimonio dell’umanità” e approdare sulle tavole di tutto il mondo. Il salto dai chioschetti agli scaffali dei supermercati, in parte favorito dal grande afflusso di turisti riversatisi sulle coste romagnole a seguito del boom economico degli anni Sessanta, era scontato perché la piada o piadina (che non è un vezzeggiativo, ma ha una storia alle spalle) piaceva.
Una storia che risale al XVI secolo
Sarebbe comunque pretenzioso affermare che la piadina sia un cibo romagnolo, considerando che in quasi tutti i paesi del mondo si sono sempre prodotti dei semplici impasti di cereali e acqua senza lieviti e cotti su lastre di varia natura, perché questo è, in fondo, la Piadina Romagnola. Annota Piero Meldini, storico riminese, che la prima citazione del termine “piada” risale al XVI secolo e si trova nella Descriptio Romandiolæ, la statistica censimento fatta redigere ai fini fiscali, nel 1371, dal cardinale Anglic Grimoard de Grisac, fratello di Papa Urbano V. Graziano Pozzetto, giornalista e scrittore gastronomo, dedica alla Piadina Romagnola Tradizionale e alle sue citazioni ad opera di personaggi famosi, un intero capitolo nel suo libro sulla Piadina edito da Panozzo Editore. Ai non romagnoli, molti di questi possono risultare degli emeriti sconosciuti, come il poeta Marino Moretti o lo scrittore Nino Massaroli che dedicò una vita intera allo studio delle tradizioni popolari. Lungo anche l’elenco dei più famosi, come il romagnolo Giovanni Pascoli, cui va il merito riconosciuto di averne italianizzato il nome dalle varie espressioni dialettali piè o pjìda, ma il più noto commentatore della Piadina è Tonino Guerra, che così rispose in una intervista concessa a Sergio Zavoli: “In fondo la piadina è una bella testimonianza di quello che erano e sono i sapori principali che teniamo in bocca. Ho trovato piade orrende in giro. Orrende perché mi baso su quello che ho mangiato nell’infanzia. E siccome ho sempre mangiato la piadina di mia mamma, dico che quella di mia mamma è la migliore del mondo. Ognuno, se tiene presente questo, si accorge che, dopo aver mangiato la piadina di casa propria per trent’anni, viene drogato dalla piada casalinga. Ho sempre solo sentito parlare di acqua, farina, sale e un pizzico di bicarbonato. La piada è il mio pane, quello che arriva ad alimentare i miei pensieri”.
La tradizione e il mercato globale
A questo punto credo sia utile fare un po’ di chiarezza e cercare di fugare quei dubbi che queste righe avranno certamente sollevato perché Piadina Romagnola IGP e Piadina Romagnola Tradizionale sono due cose differenti. Da un lato abbiamo la Piadina tradizionale che è il risultato dell’evoluzione di tradizioni secolari, onnipresente in fiere sagre, eventi, facile e veloce da realizzare, cotta e venduta al momento nei tradizionali chioschetti e non adatta a essere conservata, ma disponibile a essere farcita in mille modi. E dall’altro lato c’è la Piadina IGP che consente di raggiungere milioni di consumatori, confezionata con attraenti packaging e adatta ad essere conservata per lungo tempo. Dunque, Piadina IGP da consumare in casa per far rinascere nostalgie di romagnolità e ravvivare il rito di un pasto frugale: piadina e squacquerone o piadina e affettati. Piadina tradizionale invece da consumare in strada, al volo per una sosta breve, innescando la freccia a destra, cedendo all’impulso di un desiderio improvviso scatenato dalla vista del tradizionale chiosco. Insomma, un po’ come la differenza tra un mobile Ikea e uno fatto dal vostro ebanista. Non si pensi tuttavia che una sia buona e l’altra cattiva, sono prodotti differenti che rispondono a esigenze diverse e che vengono prodotti con metodologie molto diverse.
La Piadina IGP
La piadina IGP, come tutti i prodotti IGP, deve rispondere ad un disciplinare ed essere sottoposta a controlli e certificazioni, tutti processi costosi che i “piadinari” non solo non si possono permettere, ma che non hanno alcun senso se non per l’industria e le sue esigenze di commercializzazione. In ultima analisi, il marchio IGP sulla Piadina Romagnola tradizionale è il risultato dell’appropriazione di un patrimonio gastronomico storico-culturale a opera di grandi aziende, tuttavia non priva di risvolti positivi. Se il consumatore, mangiando una piada imbustata e precotta, crede di assaggiare “il pane dei romagnoli” e forse anche di essere in Romagna, allora il processo di identificazione con un territorio ha fatto un passo avanti. Per fregiarsi del titolo Piadina Romagnola o Piada Romagnola IGP ecco gli adempimenti essenziali. Gli ingredienti devono essere farina di grano o di farro con aggiunta di acqua, grassi, sale e alcuni ingredienti opzionali e al momento dell’immissione al consumo deve avere sapore fragrante e odore simile al pane appena sfornato. Con un po’ di fantasia e l’aiutino di aromi artificiali è anche possibile che un prodotto precotto e preconfezionato li esali. Inoltre, deve presentare macchie ambrate di cottura di piccole dimensioni, pasta compatta, rigida e friabile, diametro da 15 a 25 centimetri e spessore da 4 a 8 millimetri. Appena un po’ diverse le caratteristiche che deve avere la Piadina alla Riminese e cioè: vesciche di cottura di grandi dimensioni sulla superficie, con una distribuzione non omogenea, pasta morbida e flessibile, diametro da 23 a 30 centimetri e spessore fino a 3 millimetri. Poi c’è tutto l’elenco dei comuni inseriti nella zona di produzione, l’elenco degli ingredienti obbligatori e la documentazione che serve a comprovare l’origine del prodotto. Le materie prime obbligatorie per un chilo di prodotto sono farina di grano o di farro e acqua q.b., sale massimo 25 grammi, strutto, e/o olio di oliva e/o olio di oliva extravergine fino a 250 grammi. Opzionali sono carbonato acido di sodio, difosfato disodico, amido di mais o frumento, fino a 20 grammi; latte fresco o UHT massimo 300 ml, miele nella misura massima di 20 grammi; la quota di grassi può̀ comprendere olio di semi di girasole in quantità̀ inferiore all’olio extravergine d’oliva. Per il confezionamento sono consentiti l’impiego dell’atmosfera modificata e/o l’aggiunta di alcool naturale, nella misura massima del 2% in peso espresso in sostanza secca e deve essere indicato il periodo di conservazione relativo al prodotto conservato in regime di refrigerazione, 60 giorni, per il prodotto conservato a temperatura ambiente, 90 giorni, e per il prodotto conservato in regime di congelazione o surgelazione, 12 mesi.
La Piadina tradizionale
Ci sono molte differenze tra le varie piade. Escludendo i cassoni, la più significativa variante della piada, a grandi linee le principali sono due: le piadine della zona sud della Romagna (Rimini, Riccione, etc.) sono più grandi e sottili con strutto e grassi per favorirne la possibilità di piegatura; a Forlì e Cesena sono di diametro minore, ma più spesse per meglio essere tagliate in due e farcite. Nella piadina tradizionale si consuma un ulteriore atto del campanilismo romagnolo; ogni paese o frazione ne rivendica l’autenticità proponendo la propria ricetta. Ma quale è dunque la vera ricetta della piadina tradizionale? Non ne esiste una sola ma millanta e tutte giacciono gelosamente custodite nelle mani delle piadinare. Chiedere a una piadinara la propria ricetta è come chiedere a un tartufaio langarolo di rivelarvi dove ha trovata la palla da due etti di tartufo. Ma proprio qui stanno il fascino e l’autenticità di un prodotto tanto semplice quanto buono. Qualche esempio tratto dal libro di Graziano Pozzetto si può fare. Aldo Spallicci, medico e poeta romagnolo per un kg di farina indicava 5 g di bicarbonato, 200 g di strutto, sale q.b. e acqua calda. L’Accademia della Cucina per un kg di farina 160 g di strutto, due bicchieri di latte e sale q.b. Marco Guarnaschelli Scotti, autore Grande Enciclopedia Illustrata della Gastronomia scrive 1 kg di farina, 100 g di strutto, sale q.b. e acqua calda. Molte poi sono le ricette che prevedono l’uso di lievito di birra, miele e anche acqua frizzante, sale dolce di Cervia, grani antichi, scorze di limone, rosmarino etc. etc. Quale scegliere dunque? Forse ha proprio ragione Tonino Guerra, la più buona e autentica piadina è quella della propria infanzia. Ma in ogni caso, come dice un saggio proverbio romagnolo:
“La pìda se parsòt la pìs un po’ ma tòt” (la piada col prosciutto piace un pò a tutti).