Piccolo è Bello, racconto di un evento plurale
Tutto è barocco a Catania. I mercati rionali, la Pescheria con la sua sinfonia di colori-suoni-odori, le messe domenicali dove l’organo divampa, i dolci traboccanti di ricotta, forse perfino il pensiero. E ovviamente l’architettura delle chiese e dei palazzi, ricostruiti dopo il terremoto del 1693: le facciate plastiche e movimentate del Duomo, della Collegiata, del Palazzo dell’Università e quella non meno mirabile di Badia Sant’Agata (è l’amata protettrice della città), dalla cui cima si può ammirare tutta Catania con le sue belle cupole e sullo sfondo l’imponente silhouette dell’Etna che la domina dall’alto. Nel novero dei gioielli settecenteschi del centro storico figura anche l’ex Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena in piazza Dante. Sede del dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università degli Studi, e dunque gremito quotidianamente da centinaia, anzi migliaia di studenti, è complesso monumentale di rara bellezza. Qui, domenica 9 giugno 2024, nei giardini dei cortili est e sud, di fronte alle facciate decorate con grottesche, perfetto esempio di barocco catanese, è andato in scena l’atto finale della sesta edizione di Piccolo è Bello, manifestazione indipendente (è interamente autofinanziata) ancora poco conosciuta in rapporto ai suoi meriti e al suo coraggio, dedicata alle piccole cantine dell’Etna e della Sicilia.
“L’anno scorso le aziende dell’Etna erano 115” dichiara Agata Arancio, curatrice e anima dell’evento, organizzato con il supporto di Corrado Vassallo e la complicità di altri amici. “Quest’anno sono scese a 70 a causa di un’annata, come la 2023, con poca uva e dunque con meno imbottigliamenti”. Numeri considerevoli che fanno riflettere: sono realtà di piccole dimensioni, molte delle quali guidate da giovani produttori che hanno recuperato i vigneti di famiglia e che rischiano di sparire dai radar della comunicazione e del consumo, poco protette dalle istituzioni e travolte dal successo – un successo che ha dato le vertigini all’intero sistema locale – di una zona cresciuta in maniera esponenziale, perfino eccessiva negli ultimi dieci/quindici anni: da territorio dove nessuno voleva investire perché considerato retrogrado, “terzomondista” – e parliamo dei primi anni Duemila – a terroir à la page.
Il nome della manifestazione s’ispira non casualmente all’omonimo, pionieristico saggio di Ernst Friedrich Schumacher Piccolo è bello. Uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa (1973), che ne riassume spirito e intenzioni: “Al giorno d’oggi, siamo contagiati da un’idolatria quasi universale per il gigantismo. Ecco perché è necessario insistere sulle virtù della piccola dimensione, ovunque essa sia applicabile”.
“Di mestiere faccio l’agente di commercio, vendo prodotti enologici” continua Agata Arancio, “ed è proprio girando per le cantine che mi sono resa conto delle difficoltà che avevano molti piccoli produttori dell’Etna a trovare visibilità. Così è nato Piccolo è Bello. Quest’anno abbiamo scelto come tema della manifestazione il concetto di ‘estremo’. Ed estremo, in una terra che vive di estremi come la nostra, significa diverse cose: un ambiente estremo, condizioni climatiche estreme, tecniche di vinificazione estreme, ma anche le difficoltà che incontrano i produttori di vino, di olio o di altri prodotti agricoli in questo particolare momento storico”.
Interrogarsi sull’estremo
Sul significato della parola “estremo” si è soffermato il simposio di sabato 8 giugno, che si è tenuto presso il sal di via Indaco (un luogo polivalente chiamato Borgo Creativo) e che è stato sagacemente moderato da Carmen Greco, giornalista del quotidiano “La Sicilia”. Per Leonardo Luca dell’Università di Catania la viticoltura estrema è una “coltivazione della vite in condizioni complicate”. Per Anastasia De Luca, fiduciaria della Condotta Slow Food di Catania, l’“estremo è forzatura”. Seby Costanzo, produttore e rappresentante del Consorzio Etna Doc, ha posto l’attenzione sulla differenza tra “vigneti eroici” e “vigneti storici”, facendo riferimento a un Decreto Legge poco conosciuto (che sono andato a leggermi), il 6899 del 30/06/2020, in cui vengono indicati i criteri di individuazione di ambedue i campi. “Si definiscono eroici i vigneti ricadenti in aree soggette a rischio di dissesto idrogeologico o situati in aree ove le condizioni orografiche creano impedimenti alla meccanizzazione o aventi particolare pregio paesaggistico e ambientale, nonché i vigneti situati nelle piccole isole” (al punto successivo si specificano i requisiti: pendenza del terreno superiore a 30%; altitudine media superiore ai 500 metri s.l.m.; sistemazioni degli impianti viticoli su terrazze e gradoni). “Si definiscono storici i vigneti la cui presenza è segnalata in una determinata superficie/particella in data antecedente al 1960. La coltivazione di tali vigneti è caratterizzata dall’impiego di pratiche e tecniche tradizionali legate agli ambienti fisici e climatici locali, che mostrano forti legami con i sistemi sociali ed economici” (al punto successivo si specificano i requisiti: utilizzo di forme di allevamento tradizionali legate al luogo di produzione, debitamente documentate; presenza di sistemazioni idrauliche-agrarie storiche o di particolare pregio paesaggistico). Aurora Ursino, presidente dell’Ordine degli Agronomi di Catania, si è soffermata sull’Etna come vulcano attivo e sul suo impatto sul suolo. Giuliano Boni, formatore vitivinicolo, ha segnalato come il cambiamento climatico generi, tra le altre cose, delle criticità sui metaboliti dell’uva con conseguenze che colpiscono la longevità dei vini, compresi i Riesling tedeschi. Nicola Purrello, presidente di Urban Vineyards Association, ha parlato della realtà che presiede, l’Associazione Vigneti Urbani, la quale tutela le vigne cresciute in città dopo il processo di urbanizzazione. Sono attualmente quindici in sei diversi Paesi, di cui la più famosa è il Clos Montmartre a Parigi, mentre nella zona dell’Etna c’è l’ettaro e mezzo della Vigna Grande di San Gregorio, vicino al casello dell’autostrada Catania-Messina.
Un territorio estremo: il Carso
A seguire, nello stesso loft, si è tenuta una degustazione tematica dedicata al Carso, ospite della manifestazione, dal titolo “Estremo nord-est italiano, sconfinamenti enoici e immaginativi”, brillantemente condotta da Simonetta Lorigliola. “La parola estremo” dice, “arriva dal latino e significa ‘quello che sta fuori’: andare oltre – l’abitudine, il noto, il consueto – significa aumentare la nostra conoscenza”. La provincia di Trieste è la più piccola d’Italia: 6 comuni per 2.000 chilometri quadrati e 230.000 abitanti, di cui 200.000 risiedono a Trieste. Dal Medioevo al 1719, anno del porto franco (ancora oggi quello del capoluogo è il secondo porto italiano), Trieste è stata un’importante città del vino: la sua provincia contava ben 1226 ettari vitati, ridotti oggi a 205. Il Carso è l’altopiano calcareo sopra la città: “Scipio Slataper diceva che era un territorio di calcari e ginepri”.
Milos Skabar proviene da una famiglia di cavatori di Repen che estraevano la pietra calcarea, il marmo del Carso, lo stesso dove cresce la vite locale (la terra occupa qui solo un sottile strato superficiale di 10 centimetri). “Fare viticoltura qui significa rompere con martelli pneumatici la pietra, macinarla e poi impiantarci sopra le viti, che soffrono la siccità e vanno a prendere i minerali in profondità: nascono così dei vini d’acciaio” dice Milos, che ha recuperato i terreni del nonno, ha ristrutturato i muretti, ha aperto la sua osmiza (un locale dove si vendono e consumano i propri prodotti) e nel 2018 ha imbottigliato i primi vini della famiglia.
Il Prosekar 2023 arriva da Prosek (Prosecco), frazione o quartiere di Trieste tra Opicina e Santa Croce, e proviene dal flysch triestino (marne e arenarie) della Costiera del Breg, la Riviera di Trieste, un terreno più giovane (120 milioni di anni) rispetto a quello del Carso (180 milioni). “Fino agli anni Sessanta qui era tutto coltivato con vigneti terrazzati, chiamati ‘pastini’, particolarmente ripidi. Producevamo Prosecco 500 anni prima dei veneti”. Il vino contiene Glera, Vitovska e Malvasia istriana ed è prodotto con metodo ancestrale: una sola fermentazione che inizia in acciaio e termina in bottiglia. In alcune annate, come questa, viene sboccato. “All’inizio non è stato facile produrlo perché le bottiglie scoppiavano”. Ha colore paglierino intenso e velato, naso di nespola, nocciolo di pesca, muschio, sapone di Marsiglia, palato pieno, schiumoso, con coda di sapore. La Vitovska 2022 nasce invece sulla pietra calcarea (marmo di Repen) dell’altopiano carsico. Vinificazione in bianco e vendita dopo due anni. “Fino a vent’anni fa la Vitovska veniva tagliata con la Malvasia”. L’olfatto è metallico, il sorso succoso-minerale, sapido-teso, duro, frontale, che produce salivazione. Il Monkolan 2021, che prende il nome dal castello di Moncolano, noto anche come torre di Prosecco, è un taglio di Malvasia (prevalente), Vitovska, Glera e Tocai, vinificato in anfora con macerazione sulle bucce dai tre ai quattro mesi. Il colore è più dorato che arancio, i profumi hanno suggestioni di sorbo, pera, nocciolo di pesca, note terrose. La bocca è densa, vigorosa nell’alcol e nel tannino, persistente, un distillato di pietra e sale. “Il flysch nutre la grassezza del sorso” (Lorigliola).
L’azienda Zahar di Tania Stefani e Mitja Zahar a San Dorligo della Valle (Dolina) ha tre ettari e mezzo suddivisi in tanti piccoli appezzamenti nel Breg dell’estremo nord-est di Trieste. Dal 2014 la conduzione agronomica ha bandito i prodotti di sintesi a favore di trattamenti fogliari con microrganismi vegetali e infusi di erbe officinali, pratica il sovescio e dal 2020 le etichette dei vini si fregiano della certificazione biologica. Sono presenti ambedue i coniugi, ma Mitja, che la moglie definisce “un uomo aspro come il suo territorio”, è il più restio a parlare. “Il nome dell’azienda, Zahar, ha origine boeme e significa ‘zucchero’. Mitja” continua Tania “ha cominciato a produrre vino dopo la morte del padre usando solo uve autoctone e come tutte le piccole aziende del Carso ha un’osmiza o frasca: durante l’Impero Austro-Ungarico poteva rimanere aperta otto giorni per vendere il vino e altri prodotti della fattoria per arrotondare. L’apertura del locale era segnalata con un ramo d’edera”. Il Carso Vitovska nasce nel 2015 come vino fresco vinificato in bianco per poi diventare un macerativo (tre, quattro giorni sulle bucce) con un terzo della massa che matura in tonneau. Il 2021 ha colore giallo intenso, profumi scalpitanti di fiori gialli, un palato di erbe mediterranee, di santoreggia (“l’origano del Carso”, dice Simonetta), palato pieno. Più ricco, potente e alcolico il Sonček 2021, uvaggio di Malvasia istriana al 40%, Vitovska al 30% e Tocai al 30%. Fermentazione spontanea, macerazione di 5 giorni, maturazione in tonneau di acacia e rovere. Il nome significa “piccolo sole” in sloveno. La Malvasia 2019 ha una storia singolare alle spalle. “È stato uno scherzo della natura, uno scherzo buono” racconta Mitja. “Il 22 agosto c’è stata una grandinata e abbiamo perso metà del raccolto. Abbiamo sanato gli acini feriti e dopo due settimane abbiamo raccolto una sorta di vendemmia tardiva. Poi il vino ha fatto una macerazione di dieci giorni e un anno di legno”. Colore grano-arancio per uno spiccante carattere Malvasia che si spande nell’aria: aromatico, balsamico con trionfo di albicocca secca. Il palato è analogamente intenso, strutturato, alcolico e tannico con un allungo prepotente di albicocca, rosmarino e altre erbe aromatiche.
Le piccole cantine dell’Etna
Il rapporto di Catania con a Muntagna – i suoi bagliori, le sue eruzioni, la sua lava – è millenario: la fertilità del suolo, la pietra lavica usata per costruire le case e le strade, la conquista delle sue pendici. La popolazione non ha mai voluto abbandonare la propria terra, accettando di convivere con il pericolo di eruzioni e terremoti. La fontana dell’Elefante è l’emblema di Catania, al contempo simbolo, portafortuna, memoria storica. Progettata dall’architetto Giovanni Battista Vaccarini, protagonista della ristrutturazione del capoluogo dopo il terremoto del 1693, vede un elefante (u Liotru) in pietra lavica di età romana che poggia su un basamento ed è sormontato da un obelisco di datazione incerta decorato con geroglifici legati al culto della dea Iside: una sintesi di paganesimo e cristianità. Sotto lo sguardo ancestrale del vulcano, sono andate in scena nei cortili dell’ex Monastero dei Benedettini di S. Nicolò l’Arena le voci meno conosciute dell’Etna enoica, di seguito ordinate per versanti, da nord a sud-ovest.
Maurizio Papotto è un ex enotecario che, con il fratello Salvatore, responsabile della produzione, ha recuperato a Sciaranuova una piccola vigna a 800 metri di quota che apparteneva al bisnonno, il quale l’aveva messa assieme da piccoli lotti singoli: è un pianoro (funnari in catanese) sabbioso con alberelli tra i 20 e gli 80 anni d’età. L’Etna Rosso La Vigna di Nonno Turi viene prodotto con 14 mesi di barrique in 500 bottiglie. Il 2020 ha succo, tonicità, frutto croccante, tannino sapido e profilo di bella silhouette. Il 2019 è parimenti selvatico e contrastato, con un allungo più tagliente.
L’azienda Francesco Modica, dedicata dal figlio Salvatore a Nonno Ciccio, come lo chiamavano i bambini, si trova a Randazzo e ha tre ettari di vigna a Sciaranuova a 750 metri di quota su suoli che risalgono alla colata lavica del 1600. I vini fanno fermentazione spontanea e vengono vinificati nel moderno palmento. L’Etna Rosso Sciara Nuova 2019 (acciaio) ha tratto fresco-succoso, pieno e compatto, di arioso carattere. L’Etna Rosso Nonno Ciccio 2019 (sei mesi in barrique e tonneau) possiede forza e solidità, pienezza e maturità, tratto speziato e persistenza balsamica.
La bellezza dell’antica dimora nobiliare, perfettamente restaurata nel 2009 ed inaugurata nel 2010, di Feudo Vagliasindi a Randazzo (le camere dell’hotel, la piscina, il ristorante, le sculture di Orazio Coco, i vigneti, gli uliveti e il monumentale palmento, uno dei più grandi di tutto l’Etna), rischia di far passare in secondo piano la produzione enologica (per tacere di quella olearia) dell’azienda condotta da Corrado Vassallo con il fratello Paolo. Dai due ettari vitati e mezzo della tenuta, il cui fondo ne conta complessivamente dieci, provengono infatti un Etna Bianco 2022 (Carricante) dalle note di sciara vulcanica e di agrume sulfureo che ha vivezza acida e allungo sapido; un Etna Rosso 2017 (Nerello mascalese 95% più saldo di Nerello cappuccio, con un anno e mezzo in botte grande) di pienezza e forza; e soprattutto un Nerello Cappuccio 2021 (8 mesi in barrique di secondo passaggio) dall’indomito carattere selvatico, boscoso, vulcanico: ematico e succoso, pieno e contrastato, raffinato nel tannino e sapido in persistenza.
Marco Giachino aveva un’impresa edile ma nel 2015 comincia a lavorare la vigna del nonno Peppino al Feudo di Mezzo e il passatempo si trasforma in una professione. Nel 2018 viene fondata a Passopisciaro la cantina Vita Nova, il cui nome riassume “dantescamente” il percorso del suo proprietario. Poco più di un ettaro terrazzato tra le vecchie vigne ad alberello convertite a cordone speronato e i nuovi impianti ad alberello. L’Etna Bianco Maria José 2022 (dedicato alla madre e al padre) esprime una polpa succosa, un tratto caratteriale di buccia sulfurea di pompelmo e un sapore quasi infiltrante. L’Etna Rosso José Maria 2020 (dedicato al contrario al padre e alla madre) fa un passaggio per metà della massa in barrique non nuove. Ha colore granato leggero, finezza olfattiva di sottobosco, sorso sensuale, lavico, dal tannino lungo e sottile.
Verderame, cantina a Passopisciaro, ha cinque ettari sul versante nord dell’Etna. La storia agricola di famiglia risale al 1870 (me la raccontano Ruben Grasso e Lorenzo Licciardello, cugini ventenni nati lo stesso giorno che rappresentano la quinta generazione di famiglia), ma la prima bottiglia prodotta è il Filologico Rosso 2020, Nerello mascalese al 90% più saldo di Nerello cappuccio e altre uve (Minnella nera, “varietà reliquia” mi dicono, Minnella bianca, Carricante) da vecchi ceppi compresi tra i 90 e i 120 anni d’età che provengono dall’ettaro e mezzo in contrada Moganazzi. Il vino fa sei mesi in barrique di secondo e terzo passaggio. Ha colore granato, profilo polposo, note di radice e tamarindo, tensione gustativa e bell’allungo finale.
Feudo Arcuria, che Giuseppe ‘Pippo’ La Monaca guida con la figlia Laura, si trova a Passopisciaro. In contrada Feudo di Mezzo gli ettari sono tre e dimorano su tre diversi terreni: ciottoloso, vulcanico e sabbioso. L’Etna Rosso Palummaru 2020 proviene da vigne del 2003, fa solo acciaio e ha colore granato chiaro, note intense di cenere e piccoli frutti rossi, un carattere selvatico e uno sviluppo accattivante. Più speziato e potente l’Etna Rosso Palummaru Old Vine 2020, da una vigna di 70 anni: fa dèlestage e matura in tonneau.
A Passopisciaro c’è anche la cantina di Enrica Camarda, che dà il nome all’azienda, e Adriano Cardile, otto ettari vitati di cui un ettaro e duemila metri quadri usati per la propria produzione: il resto dell’uva viene venduto per finanziare il progetto. Sia il bianco sia il rosso provengono dalle vigne centenarie del Feudo di Mezzo appartenute al bisnonno Antonino Camarda e fanno fermentazione spontanea. Il Bianco Numeru Setti 2023 (Carricante, Catarratto, Grecanico, Minnella bianca, Inzolia) ha un carattere intenso e un po’ rustico. Vinificato in cemento, l’Etna Rosso Fermento Feudo di Mezzo 2022 (Nerello mascalese più saldo di Nerello cappuccio, Minnella nera e Grenache) ha un profilo succoso e puro, tratto ematico, note di lampone e sottobosco, sviluppo lungo e naturale di crescente progressione gustativa.
Nel 2016 Carmelo Vecchio, dopo 17 anni trascorsi come cantiniere e trattorista presso la cantina Passopisciaro del compianto Andrea Franchetti, che è stato uno degli artefici dell’Etna del nuovo millennio, apre la sua azienda con il nome di Vigneti Vecchio insieme alla moglie Rosa La Guzza in Contrada Malpasso a Verzella (Castiglione di Sicilia). L’Etna Bianco Sciare Vive 2022 (Carricante, Inzolia, Minnella, Catarratto dagli alberelli tra Randazzo a Linguaglossa che hanno dai 20 ai 50 anni; 24 ore di macerazione e malolattica in cemento) ha colore giallo intenso, un olfatto dai toni d’agrume e di sapone di Marsiglia, una bocca succosa con coda di elementi sulfurei. L’Etna Rosso Sciare Vive 2022 è un mix dei vecchi alberelli di varie contrade tutti vinificati assieme con fermentazione spontanea: c’è polpa, vivezza, allungo. L’Etna Rosso Contrada Fiera 2022 arriva dai vecchi alberelli antecedenti il 1895 di una vigna di 3000 metri quadri a Linguaglossa acquistata nel 2021: côté selvatico, sviluppo sapido-vivo-contrastato con lungo finale di lampone.
Il legame con le vigne del nonno segna, come molte altre cantine, anche la recente storia produttiva a Linguaglossa di Vini Calì dei fratelli Salvatore e Mario Calì. Ci sono due linee: Vigna Calì (vinificazioni tradizionali) e Controcorrente (vinificazioni spontanee). Al primo appartiene l’Etna Bianco Fanciulla 2021 (un’unica raccolta di Carricante all’85%, Catarratto al 10% più un 5% di Grillo surmaturato in pianta provenienti da un vigneto del 2015 che prima era un noccioleto): bel carattere di pietra pomice e limone sulfureo. Più tecnico e boisé l’Etna Rosso Moro Contrada Friera 2021, da una vigna del 1964 che si trova nella zona del cimitero di Linguaglossa. Alla seconda linea appartengono un Sulle Bucce 2023 (Carricante, Catarratto, Grillo, Trebbiano) dai toni succosi e contrastati (pompelmo) e un Etna Rosso Boato della Terra 2022 (da uve in contrada Moganazzi) dal frutto selvatico, piacevole, vivo e dall’allungo sapido e persistente.
Vigne Alte viene fondata nel 2021 da Massimiliano Sapienza, classe 1975, sotto l’egida tecnica di Salvo Foti. Cinque ettari tra Sant’Alfio (3,5), Milo in contrada Caselle (0,5), Monte Ilice (0,5 con il 60% di pendenza, è la vigna storica, le altre sono tutte più recenti) e Bronte in contrada Tartaraci (0,5) dov’è piantata la Grenache. L’Etna Rosso Convivio 2022 è alla prima annata e proviene dalle viti quasi maggiorenni di contrada Monganazzi. È un vino “base” che non fa legno. Ha anima minerale, quasi idrocarburica e uno spirito caratteriale, verace, sapido. Il prossimo anno uscirà un altro rosso e probabilmente un bianco.
L’azienda Sive Natura, “ossia la Natura” citando Spinoza, si trova a San Giovanni Montebello, tra Sant’Alfio e Giarre, versante est dell’Etna. La conduce Giuseppe Paolì, enologo con una spiccata sensibilità per la terra. Dai due ettari di alberelli terrazzati di San Giovanni nascono il Carricante di San Giovanni e il Nerello dei Cento Cavalli. Il primo, millesimo 2020, profuma di ginestra, di pietra pomice, di buccia di limone, ha un palato laminato, contrastato, pietroso, molto saporito. Il secondo – Nerello mascalese 90% con saldo di Nerello cappuccio, sempre del 2020 e dedicato al secolare castagno di Sant’Alfio, uno dei più antichi d’Europa – ha colore rubino-granato, sentori terrosi di cenere vulcanica, di pepe, di macchia mediterranea, con un tratto pieno, succoso, avvolgente, tonico.
Tenuta Ballasanti è un progetto nato nel 2013 per iniziativa di Manuela Seminara, catanese cresciuta con la fierezza dell’Etna e la morbidezza del mare, e del marito Fabio Gualandris, imprenditore milanese appassionato di botanica e bonsai. Il nome dell’azienda arriva da una frase della bisnonna di Manuela: diceva che nei giorni di grecale in un punto della tenuta di famiglia a San Giovanni Montebello c’era così tanto vento da far ballare persino i santi. L’Etna Bianco 2022, dal Carricante di contrada Chiusitti a Mascali (800 metri di quota), ha tratto piacevole e stuzzicanti spunti sulfurei. L’Etna Rosso 2022, dagli alberelli di Nerello mascalese di contrada San Basilio a Piedimonte Etneo (età dai 40 ai 60 anni), ha colore granato-cerasuolo, un accattivante lato selvatico, un tratto tonico, sapido, dal tannino compatto. Più ambizioso e potente, il Sicilia Nerello Mascalese 2022 – dal vigneto storico curato da nonno Angelo, due ettari e mezzo reimpiantati ad alberello a tre branche, in contrada Ricceri Ciappato a San Giovanni Montebello – tradisce l’elevazione nel legno (barrique e tonneau), anche se il carattere del vino, come si diceva un tempo, è franco. Secondo Manuela il 2023 sarà più dinamico.
Cantine di Nessuno di Seby Costanzo – il nome aziendale omaggia il mito di Ulisse/Nessuno che acceca il Gigante ai piedi dell’Etna –si trova sul versante sud-est del vulcano, tra Fleri e Trecastagni, con otto ettari suddivisi tra le contrade Monte Gorna, Carpene e Monte Ilice. L’Etna Bianco Nenti 2019 (da alberelli vecchi e recenti non terrazzati provenienti delle tre contrade) viene vinificato in acciaio e ha un sorso maturo, sapido, persistente. L’Etna Bianco Milice 2019 arriva dal Monte Ilice tra vecchi alberelli e quote sensibili (908 metri) con pendenze che arrivano al 65%. Fa barrique di rovere di secondo e terzo passaggio per 12 mesi e altrettanti di bottiglia. Colore intenso, note di agrume esotico, di fumé, di tabacco, con allungo sulfureo e sapido. L’Etna Rosso Nuddu 2017 (vigne dai 30 agli 80 anni dalla contrada Carpene; quattro mesi in botte di castagno, ma in futuro non farà più legno) si rivela come un rosso più potente.
Pietrardita di Gandhi Mancuso nasce nel 2017 e produce il suo primo vino, un rosso, nel 2019. Anche se l’azienda possiede delle vigne a Piedimonte Etneo, i due vini finora prodotti arrivano dall’altro versante del vulcano, quello sud-ovest di Biancavilla, dove c’è un vigneto promiscuo (età media 80 anni) in contrada Purgatorio. L’Albavillae 2022 – taglio di Carricante 80%, Catarratto 10%, Minnella bianca e altre uve 10%, con fermentazione spontanea, macerazione di qualche giorno, maturazione di sei mesi in anfore di ceramica per il 60% della massa e in acciaio per la restante parte – ha polpa succosa, sviluppo piacevole e assai saporito, con note di agrume e quasi di zenzero. Il Lahar – nerello mascalese 80%, nerello cappuccio 10%, carricante e alte uve bianche 10%, fermentazione spontanea, 10 mesi di maturazione in acciaio – ha colore granato leggero, note di lampone vulcanico, sviluppo succoso e salino, finale molto reattivo.
Francesco Sanfilippo lavorava per una multinazionale, tre anni fa smette e affianca il padre nel lavoro in campagna. Nasce Vigne di Confine, dalla posizione “borderline” dei due ettari a Biancavilla, versante sud-ovest dell’Etna: alberelli tra i 70 e 90 anni a 980 metri di quota. Il Carricante (70%) e il Catarratto del BN – Bocca Nuova (è il nome di uno dei crateri dell’Etna) del 2023 fanno 13 giorni di macerazione e fermentazione spontanea. L’olfatto è un fiorire di lavanda, gelsomino e fiori gialli. Il sorso è pieno di succo, tonico, molto piacevole. Il VRGN – Voragine (il nome di un altro cratere) del 2022 ha Nerello mascalese (85%) e Nerello cappuccio, e trascorre tre mesi in barrique di castagno, che lascia la sua impronta sul vino: note di china, di corteccia, di erbe officinali e amaricanti per un profilo insolito e caratteriale dal persistente allungo.
Dino Di Stefano conosce Sophie, che è francese, in un locale dell’East London, davanti a una bottiglia di vino. Diventano compagni di vita e d’avventura nell’Etna di Biancavilla, recuperando i vigneti della famiglia di Dino: nasce così Terrafusa. In contrada Vallone Rosso ci sono due ettari e mezzo a 870 metri di quota con vigne di 70 anni e altri quattro sono in fase di impianto. Il primo imbottigliamento è del 2017. L’Osé 2022 (Carricante 95% più saldo di Catarratto) fa fermentazione spontanea, una parte di macerazione in anfora per tre mesi e l’altra parte in barrique di secondo passaggio. Ha colore giallo acceso come la verve e la generosità di un frutto che unisce sostanza e succosità (il legno è pressoché inavvertibile). Il Civetta 2019 (Nerello mascalese 95%, Nerello cappuccio 3%, Carricante 2%) fa fermentazione con lieviti selezionati e un anno di barrique dal secondo al quarto passaggio. Colore trasparente, naso di fine speziatura, palato maturo e sciolto, di bel carattere.
Mi sono fermato qui, ma ci sarebbero state ancora decine e decine di cantine da scoprire e vini da assaggiare. In più ci sono state due masterclass (una dedicata agli spumanti dell’Etna, l’altra allo Champagne); un seminario dedicato all’Eroico Evo; la premiazione della casa editrice Algra di Zafferana Etna; la presentazione e il banco firmacopie dei libri L’anima del sautè dai quaderni di ricette di Maria Vagliasindi di Rosanna Romeo del Castello e Chiara Vigo (Torri del Vento Edizioni) e Arte e Vino. L’etichetta d’autore come immagine del gusto di Chiara Vigo (Cicero Editore), momenti musicali e conviviali. Piccolo è Bello è più vivo che mai.
Photo Credits: Wineregister e Massimo Zanichelli