Rocca di Frassinello, a 20 anni dalla scommessa italo-francese

“Siamo venuti qui perché in Chianti non c’era più spazio e poi ci piaceva migrare verso il mare, come facevano i pastori”. Non è questa la vera ragione per la quale 17 anni fa nacque ufficialmente una delle cantine che dal punto di vista architettonico è diventata tra le più iconiche d’Italia. Però, nelle simpatiche parole di Paolo Panerai, proprietario di Rocca di Frassinello, c’è un fondo di verità, perché su queste colline maremmane posizionate a due passi dal mare in linea d’aria, la vite cresce in un luogo dove non solo non manca certo lo spazio, ma riconquista anche una dimensione meno claustrofobica rispetto a distretti del vino più famosi, circondata com’è e in abbondanza, dagli alberi e da una natura che, anche se non può più essere definita selvaggia, ha certamente mantenuto tratti di autentica rusticità.

A scegliere queste colline situate a Giuncarico, nel comune di Gavorrano, in provincia di Grosseto, fu il proprietario di Domini di Castellare, ma un certo Barone Eric de Rothschild, ovvero il signor Château Lafite, diede il suo contributo decisivo per l’acquisto di una proprietà molto più grande degli iniziali 50 ettari. Disse, a margine di un pranzo che si rivelò fondamentale: “Ce ne vogliono almeno 500 di ettari, altrimenti se fai il vino buono arrivano vicino a te altri”, un’affermazione che dona la cifra stilistica di chi è abituato a ragionare su scala internazionale.
Dalla loro joint venture, terminata qualche anno fa per motivi di politica finanziaria interni alla famiglia Rothschild (vendere le quote delle aziende dove erano in minoranza e acquistare quelle di dove erano in maggioranza) nacque realmente un’azienda da 500 ettari di proprietà, 90 dei quali vitati. Per progettare e ideare la cantina venne chiamata un’archistar dalla fama mondiale: Renzo Piano, vecchia conoscenza di Panerai quando era ancora un cronista del Secolo XIX. È l’unica a essere stata realizzata dall’architetto genovese, essenziale nelle forme, funzionale negli spazi, ma con tre elementi che certo non passano inosservati. Una terrazza sterminata, denominata “il sagrato”, grande 5mila metri quadrati, una torre rossa ben visibile anche da lontano è poi la famosissima barricaia posta a 50 metri sotto terra, nella quale i piccoli contenitori di legno da 225 litri sono disposti come spettatori all’interno di un palazzetto, affacciati su uno spazio centrale illuminato dalla luce che scende dalla torre attraverso un gioco di specchi.

I tratti distintivi del territorio maremmano
“Un elemento determinante, anche in annate piovose, come ad esempio la 2018, è la presenza costante di aria, che consente di asciugare in modo rapito le uve”. Il vento, come spiega Alessandro Cellai, enologo e Vicepresidente di Rocca di Frassinello, è una delle variabili non secondarie presenti in questo territorio. Poi ci sono i terreni che, come a Bolgheri, sono composti da scisti argillosi risalenti al pliocene. Le argille blu, in particolare, trattengono l’acqua e consentono alle viti di resistere anche nei periodi più siccitosi, che da queste parti non mancano. A questo bisogna aggiungere la presenza di scheletro, che consente di migliorare il drenaggio naturale delle acque ed evitare ristagni, nonché di microelementi minerali, tipici di queste colline metallifere dove è tipica anche la colorazione rossastra delle terre.

Le varietà? In primis il sangiovese, “frutto delle selezioni clonali di Castellare” racconta ancora Cellai. “Questo territorio, geologicamente, avevamo visto che aveva la possibilità di produrre il sangiovese che volevamo noi”. Poi, come è tipico sulla costa toscana, cabernet sauvignon e merlot. Dal classico blend di queste tre varietà nasce quello che in azienda chiamano le grand vin di Rocca di Frassinello, il più rappresentativo, la vera e propria firma di questo progetto.
La degustazione
La prima annata in commercio del Rocca di Frassinello, che viene commercializzato sotto il cappello della DOC Maremma Toscana, è del millesimo 2004. “C’erano state delle prove nel 2003, ma è stata poi la 2004 la prima annata lanciata sul mercato” continua Cellai. “E come diceva Tachis, la prima è quella che ti rimarrà sempre nel cuore. Annata non semplice in Toscana, ma noi avevamo l’obbligo e il dovere di fare un prodotto importante”.
La proporzione dei vitigni che compongono il vino è sempre la stessa: sangiovese 60%, merlot e cabernet sauvignon, in parti uguali, il restante 40%. Dopo la vinificazione in acciaio e una macerazione che nel caso del sangiovese è di tre settimane, ma nel caso dei due vitigni bordolesi in alcune annate può arrivare anche a cinque, le tre varietà maturano tra i 18 e 24 mesi in barrique per il 50% nuove e per il restante di secondo e terzo passaggio, acquistate tuttora da Château Lafite (che se le fa in casa). Dopo un anno di affinamento in bottiglia, viene commercializzato. Se ne producono circa 30 mila bottiglie all’anno.

A 20 anni dalla prima annata, sia il lancio di un’edizione speciale, in questo caso prodotta in soli 3000 esemplari, che il desiderio di capire come si siano evolute alcune annate, sono state il pretesto per una verticale che si è tenuta in azienda all’interno del moderno pavilion in vetro che ospita gli eventi più importanti. A condurre le danze Gabriele Gorelli MW, che ha selezionato gli otto millesimi della degustazione.

Vendemmia 2004
Note balsamiche di eucalipto e menta, tocchi di china e tabacco, qualche lieve nota vegetale che ricorda il peperone, e poi con l’ossigeno spazio e a quelle più mediterranee. La prima annata prodotta è indubbiamente tuttora ancora in forma, un maggiorenne non ancora maturo, che non mostra né note ossidative, né terziarie. Ha complessità e finezza, senza rinunciare alla forza e al calore della Maremma. Al palato la trama tannica è addomesticata ma viva, polverosa. L’allungo sa ancora di macchia mediterranea e frutto, e ha un finale più sapido che fresco.
Vendemmia 2008
Carnoso, quasi ematico nell’attacco, si distingue per una grande autorevolezza ed eleganza al naso: note di arancia sanguinella e nettarine, spezie di bella fattura e con il passare del tempo sfumature delicate sia di macchia mediterranea che di ciliegie. La bocca, come la definisce Gorelli, è “sassosa e pietrosa”, a sottolineare un incedere minerale, fresco, con un tannino dalla grana fine di ottima tessitura. Tra i migliori campioni della degustazione.
Vendemmia 2009
Quasi sfacciato al naso, è certamente più ricco e prorompete rispetto ai due campioni precedenti: note di frutta matura, che ricordano le ciliegie e i fichi, qualche sfumatura di vegetale e pirazinica. Al palato è coerente con le note olfattive, masticabile, potente, senza però stancare, grazie ad una balsamicità rinfrescante molto interessante.
Vendemmia 2014
L’annata, anche da queste parti, è stata difficile e complicata, a causa delle piogge intense sia alla fine di aprile che a soprattutto a giugno. Oggi emerge un vino che al naso è certamente meno espressivo e intenso nel frutto, ma soprattutto meno stratificato e sfaccettato. Sebbene al palato se ne apprezzi la fragranza e scorrevolezza, emerge un tannino più verde, scorbutico e ruvido, che mette questo campione certamente in secondo piano tra quelli presenti nella verticale.

Vendemmia 2016
La vendemmia è qui ricordata con grande piacere, per la perfetta maturazione raggiunta.
Forse è il più femminile e sinuoso dei vini in degustazione, ricco ma mai stucchevole, sia nella componente fruttata, che ricorda le classiche amarene e ciliegie, che soprattutto nella parte legata alle spezie e al rovere, presente ma ben fatto. Con l’ossigeno il quadro aromatico si arricchisce di note di macchia mediterranea, rosmarino, nonché di piacevoli sfumature agrumate. Bocca più sapida e densa, che non fresca e scattante, con un tannino comunque di buona grana.
Vendemmia 2018
Sebbene Alessandro Cellai la ricordi come un’annata molto dilatata durante la vendemmia, “che non ci ha fatto dormire la notte”, a causa delle continue piogge, nel bicchiere, oggi, non può che sentirsi certamente soddisfatto. Insieme al campione del 2008, è il vino più elegante, intrigante, longilineo, con un incedere a tratti severo e austero. La componente speziata è ricca e delicata, così come quella balsamica. Il frutto è sussurrato, fine, alterna note di ciliegia a quelle di piccoli frutti come il mirtillo. La trama tannica è di grana molto fine, dinamica, e chiude con una grande persistenza.
Vendemmia 2020
“È un’annata figlia delle ultime, quindi calda” afferma Cellai, sottolineando però come se da un lato qui, negli ultimi 20 anni, le temperature medie siano aumentate di 3 gradi, che non sono pochi, al tempo stesso le piogge siano altrettanto cresciute in media di 50mm. È un vino che sta entrando in commercio adesso e che, quindi, come succede in questi casi, non è facile da decifrare. Il rovere si sente di più, il frutto è dolce ma contratto nella sua definizione, al palato il tannino è ancora molto graffiante e scorbutico. Non mancano però bei tratti balsamici, una costante d’altronde di questo vino negli anni.
2020 edizione limitata
Vino celebrativo che al suo interno vede la presenza del 20% di merlot preso dalla vigna che dà origine al Baffonero, il supermerlot di Rocca di Frassinello. E in effetti si cambia subito registro, soprattutto al naso, già pronto, con una marcia in più per definizione e ricchezza, tra spezie, un frutto di grande dolcezza, ma anche note di china e cacao amaro. La trama tannica è avvolgente, densa, ma mai ridondante.

