Salaparuta, identità sicula nel cuore della valle del Belice

Sicilia, provincia di Trapani, parte più orientale e interna. Paesaggio collinare della Valle del Belice. Luoghi tristemente noti per il terremoto del gennaio 1968. Una sorta di reset, di annullamento di tutto quello che c’era; i racconti di chi quel terremoto lo ha vissuto non lasciano indifferenti. Il buio, il freddo, la terra che trema, le case che si afflosciano. La corsa verso gli spazi aperti, la ricerca di un rifugio. Le prime informazioni, gli aiuti che non arrivano, poi le baracche che sostituiscono le tende. E che contrassegneranno il territorio per decenni. L’emigrazione e il ritorno a casa. La ricostruzione dei nuovi paesi lontano dagli abitati originari. I disagi, la perdita di una storia o forse la consapevolezza di una storia da riprendere e da preservare per il futuro. L’operosità, la voglia di non mollare anche davanti alle difficoltà, la voglia di fare sempre meglio.
Tutto questo lo abbiamo incontrato, percepito, toccato con mano. Abbiamo assaggiato i frutti del lavoro quotidiano, della voglia di fare, di quel senso di riscatto che pervade chi ha dovuto ricominciare da capo, ricostruire un territorio. Come sostegno le tradizioni che rimangono, le conoscenze che si tramandano, i legami tra le persone che danno sostegno.
Così come un po’ in tutta la Sicilia, anche qui a Salaparuta, il vino, da sempre, fa parte del patrimonio culturale e ha rappresentato una delle maggiori coltivazioni presenti.
Nel 2006 nasce la DOC Salaparuta a certificare la vocazione territoriale alla viticoltura.

Il territorio
Il territorio di Salaparuta è collinare con un’altimetria che varia tra i 90 metri, nella zona pianeggiante limitrofa al fiume Belice, e il 600 metri sul livello del mare. Anche la conformazione dei terreni varia: nella parte più bassa si trovano suoli con strutture di tipo alluvionale, costituite da terreni leggeri prodotti dai detriti delle inondazioni del fiume mentre, in altura, il terreno franco-argilloso vede anche la presenza di sostanze minerali, frutto della decomposizione di rocce calcaree.
Il clima è tipicamente mediterraneo e la temperatura media annua si aggira intorno ai 16° C con le massime che raggiungono e superano i 30 °C e le minime che restano comunque sopra lo zero. Anche qui, il cambiamento climatico, ha portato fenomeni estremi; ondate di caldo e siccità hanno caratterizzato gli ultimi periodi. Sebbene la quantità di pioggia che cade in un anno sia rimasta in linea con il passato (tra i 550 e i 650 millimetri) la loro distribuzione è notevolmente cambiata e si è concentrata in alcuni limitati periodi che vedono anche la presenza di fenomeni decisamente intensi.

La denominazione
La denominazione presenta un’estensione territoriale limitata e corrispondente al solo comune di Salaparuta che, nel suo insieme, ha un’area di 41 chilometri quadrati. Ma, nonostante ciò, e come spesso purtroppo accade, la base ampelografica è decisamente ampia. Sono previste undici tipologie (sedici contando anche le versioni Riserva) di cui tre generiche e otto con indicazione del vitigno.
Il Salaparuta Rosso, anche nella versione Riserva, prevede un minimo di 65% di nero d’Avola lasciando libera la scelta delle varietà utilizzabili per la restante parte che possono essere scelte tra i vitigni a bacca nera, non aromatici, idonei alla coltivazione nella regione siciliana.
Similarmente, il Salaparuta Bianco prevede una quota minima di catarratto bianco lucido del 60% con, a complemento, altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, idonei alla coltivazione in Sicilia.
Appena più definite le percentuali per il Salaparuta Novello: minimo 50% nero d’Avola e minimo 20% merlot.
In queste tre tipologie, le alte percentuali degli altri vitigni che possono essere impiegati rendono, potenzialmente, possibile la realizzazione di vini estremamente differenti gli uni dagli altri e dunque senza una precisa identità.
È inoltre possibile produrre vini con l’indicazione del vitigno: inzolia, grillo, chardonnay, catarratto, nero d’Avola, merlot, cabernet sauvignon e syrah. In questo caso la presenza del vitigno indicato deve raggiungere la misura minima dell’85%.
Tutto ciò premesso, è pur vero che i produttori locali, una decina in tutto, tendono a utilizzare catarratto e nero d’Avola in purezza per la realizzazione dei pochi vini rivendicati a DOC Salaparuta. Sebbene la Denominazione possa contare su un patrimonio di circa 900 ettari, attualmente, sono solo trentamila le bottiglie che la rivendicano in etichetta.
Le ragioni di un così limitato utilizzo della Denominazione possono essere condensate innanzitutto nella scarsa notorietà della DOC Salaparuta rispetto alla DOC Sicilia che copre tutto il territorio regionale e il cui brand è sicuramente ben più noto al mercato. In secondo luogo, è in atto una vertenza giudiziaria che potrebbe vietare l’uso del nome Salaparuta: l’azienda vitivinicola Duca di Salaparuta S.p.A., che comunque non opera sul territorio, contesta l’uso del nome “Salaparuta” ritenendo di essere l’unica realtà a poter utilizzare tale termine in quanto marchio registrato. La causa, per la cronaca, attualmente giace presso la prima sezione della Corte Suprema di Cassazione che ha sospeso il giudizio in attesa di un chiarimento normativo da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

I produttori
Nonostante tutto ciò, le nove cantine che operano sul territorio si stanno impegnando per la valorizzazione della Denominazione e sono riunite in un Consorzio Volontario di Tutela, che nasce come Associazione di produttori, con lo scopo di proteggere e valorizzare i vini di Salaparuta.
Le cantine, sotto la guida del Presidente Pietro Scalia, sono: Baglio delle Sinfonie, Bruchicello, Noah Palazzolo, Ippolito vini, Leonarda Tardi, Cantina Giacco, Scalia&Oliva, Villa Scaminaci e Vini Vaccaro e, come recita il pay-off del sito ufficiale del Consorzio, vogliono dimostrare come siano “Insieme per amore della nostra terra, per passione del nostro lavoro, per valorizzare il nostro vino”.
Le nove realtà, cooperative agricole e aziende private, sono tutte relativamente piccole e di recente costituzione. Sono guidate da giovani o da persone giovani nello spirito che trasudano voglia di fare e amore per la loro terra, un paradiso di natura incontaminata, oltre la metà delle uve prodotte sono certificate biologiche, e tranquillità.

I vini
I vini che producono e che abbiamo potuto assaggiare ci hanno convinto.
In particolare, i vini bianchi a base catarratto si sono dimostrati di un’ottima qualità media, con punte di eccellenza; sono vini eleganti, dotati di buona sapidità e freschezza e con un profilo aromatico che spazia tra la frutta a pasta bianca o gialla, i fiori e le note di erbe aromatiche. Interessanti anche i campioni con qualche anno sulle spalle o realizzati con grillo o gli internazionali chardonnay o viognier.
I vini rossi, prodotti da uve nero d’Avola, nella media, si sono dimostrati di un livello leggermente inferiore a quelli bianchi anche se non sono mancate punte di eccellenza. Caratterizzati da sentori di frutta nera matura, a volte sotto spirito, e da sentori balsamici e terziari, sono dotati di una buona freschezza che agisce in sinergia con il tannino, ben presente. La concentrazione e il calore del Sud, a volte, sono andati a discapito della scorrevolezza di beva e dell’agilità che si ricerca nei vini contemporanei.
In considerazione dell’impegno di queste cantine guidate da persone convinte della bontà del progetto di ricerca della qualità e di valorizzazione delle peculiarità di questo loro territorio, appare quantomai necessaria una decisa revisione del Disciplinare del Salaparuta DOC nel senso di una limitazione significativa dei vitigni autorizzati al fine di ottenere una maggiore identità territoriale e omogeneità delle produzioni, seppure nelle differenti interpretazioni aziendali. Anche un intervento sulle rese per ettaro sarebbe auspicabile: la stesura attuale prevede produzioni fino a 130 quintali/ettaro, volumi decisamente non compatibili con la qualità che le cantine stanno perseguendo.
