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Territori
07/10/2024
Di Redazione AIS

Sardegna, un’isola da bere: viaggio tra i tesori liquidi di una terra ribelle

La Sardegna è un continente enologico i cui profumi, dal mirto all’elicriso, si ritrovano intatti nei suoi vini unici. Un reportage della testata americana Unicorn Review ci guida in un viaggio appassionato attraverso quattro regioni chiave dell’isola. Nonostante un passato millenario, l’industria moderna è giovane e dinamica, nata dopo un “riavvio” forzato negli anni ’80. Dal vermentino di Gallura al carignano di Sant’Antioco, emerge il ritratto di una terra che scalpita per definire la propria identità.

La prima cosa che ti rapisce della Sardegna non è un’immagine, ma un profumo. È l’aria stessa, una brezza salmastra intrisa degli aromi della macchia: il mirto agrumato, l’elicriso speziato, chiamato non a caso “oro di Sardegna”. Per capire i vini di quest’isola, bisogna partire da qui, da queste erbe che i vignaioli ti invitano a cogliere e assaporare. È questo l’invito che emerge da un appassionato racconto di viaggio firmato da Alissa Bica Raines per la testata americana Unicorn Review, un’immersione nell’anima liquida della Sardegna.

L’articolo dipinge il ritratto di un’isola paradossale. La viticoltura qui ha radici che affondano nell’epoca dei Fenici, eppure il suo volto moderno è sorprendentemente giovane. Una sorta di “anno zero” imposto dall’Unione Europea negli anni ’80, che incentivò l’espianto dei vigneti, ha creato una tabula rasa. Un trauma che si è rivelato un’opportunità: quella di ripiantare con una nuova consapevolezza, abbinando ogni vitigno al suo terroir ideale. Oggi, a circa 25 anni da quella rinascita, i produttori sardi hanno raggiunto una maturità espressiva impressionante, ma si scontrano con una burocrazia lenta e frustrante nel definire le denominazioni. Un’energia creativa che corre più veloce delle istituzioni.

Il viaggio che l’articolo ci fa compiere parte da nord-est, dalla Gallura, unica DOCG dell’isola. Questa è la patria del vermentino, un regno di granito e maestrale. Il vento sferza le vigne, raffredda le uve e scolpisce vini elettrici, tesi, una sferzata di sale e agrumi che evolve con gli anni in note di mandorla e miele.

Spostandosi a nord-ovest, tra Alghero e Sassari, il vermentino cambia pelle: diventa più opulento, materico, spesso macerato sulle bucce. Ma qui si trova anche un gioiello quasi segreto, il cagnulari, un rosso autoctono che profuma di viola, terra e pepe bianco.

Il cuore pulsante del cannonau si trova però al centro dell’isola, a Mamoiada. Un regno montano a quasi 900 metri di altitudine, dove il vitigno si esprime con un’eleganza quasi ultraterrena. L’altitudine regala escursioni termiche che rallentano la maturazione, donando ai vini un’acidità e una struttura che li rendono borgognoni per finezza e tensione. Qui i vignaioli non parlano di vigne, ma di “ghiradas“, singoli cru da cui nascono vini eterei e complessi, capaci di sfidare i decenni.

Il viaggio si conclude a sud-ovest, sulla piccola isola di Sant’Antioco, nel Sulcis. Questa è la terra del carignano, un vitigno stoico che affonda le sue radici in suoli sabbiosi e aridi. Molte piante hanno tra i 40 e i 70 anni, alcune sono centenarie. La fatica della vigna, stressata dalla siccità, si traduce in vini robusti, rustici e sanguigni; rossi e rosati concentrati e profondi, che odorano di macchia mediterranea, cuoio e fumo.

L’articolo potrebbe continuare, menzionando la Vernaccia ossidativa di Oristano o il raro arvisionadu, che ricorda uno Chablis. Ma si chiude invece con un’immagine potente: la discesa da una ghirada scoscesa di Mamoiada, dopo aver assaggiato il mirto fatto in casa. L’auto si ferma, il vignaiolo si sporge e coglie una manciata di crescione selvatico. Un sapore acuto, verde, indimenticabile. È la metafora perfetta della Sardegna e dei suoi vini: un’impronta selvatica e autentica, che ti rimane dentro a lungo, anche dopo aver lasciato l’isola.

Redazione AIS
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