Serafica Nicolosi: la nuova frontiera del vino etneo
Quando si parla di vino dell’Etna si pensa subito a Randazzo, Castiglione o Milo. Nicolosi, invece, è un po’ come l’Inquisizione spagnola: nessuno se l’aspetta. Eppure, come ci ammonivano i Monty Python in quel famoso sketch di cinquant’anni fa, faremmo bene a tenere gli occhi aperti, magari puntati sui 17 ettari di vigneto (e sui 40 di uliveto, parte nei territori di Ragalna e Santa Maria Di Licodia) che la famiglia Serafica – Borzì coltiva qui a Nicolosi.
“Nicolosi, pur essendo situata alle pendici del vulcano e avendo una lunga storia legata alla viticoltura, è stata in parte messa in ombra dal boom turistico degli ultimi decenni – spiega il giornalista Salvo Ognibene. Un tempo in città sorgevano oltre cento palmenti, ma dagli anni Sessanta del Novecento l’espansione edilizia ha messo a dura prova la tradizione agricola“. Serafica Nicolosi si impegna a mantenere viva questa tradizione.
Alberghi, ristoranti e seconde case, insomma, hanno da tempo scalzato i terreni agricoli; inoltre, grazie alla sua posizione strategica, alle porte del Parco dell’Etna, da qui, partono le escursioni verso i crateri sommitali e altre attrazioni, come la Valle del Bove e i Monti Silvestri. Eppure basterebbe voltarsi un attimo per rendersi conto che anche a Nicolosi, negli ultimi vent’anni, l’attenzione per la viticoltura è tornata, grazie a piccole aziende familiari, come Serafica Nicolosi, tutte dedite a recuperare antichi vigneti e a valorizzare i vitigni autoctoni, puntando sulla qualità e sull’identità territoriale dei loro vini.
Serafica Nicolosi: una storia di famiglia
“Il marchio Serafica – spiega Maria Ausilia Borzì, comproprietaria dell’azienda – nasce nel 2018, con l’obiettivo di trasformare la nostra attività di vendita di vino sfuso e materia prima in un brand riconoscibile e apprezzato sul mercato.” La decisione di utilizzare il cognome materno sembra la più ovvia: fu Andrea Serafica, bisnonno di Maria Ausilia, dopo aver fatto ritorno dal Massachusetts, dove lavorava nelle concerie, a piantare le prime vigne, nonché a fondare, in breve tempo, la sezione di Nicolosi dei “Coltivatori diretti”.
Grazie all’impegno del figlio Nino, che inizia la lavorazione del vino per conto terzi, e poi del nipote Andrea, che procede al reimpianto del vigneto, l’azienda Serafica Nicolosi si espanse ulteriormente, fino ad arrivare a oggi, con la generazione di Maria Ausilia, che insieme al fratello e al cugino hanno dato una veste più moderna all’azienda.
“Il nome completo – continua – è “Serafica: Terra di Olio e Vino”. La scelta di anteporre l’olio al vino non è casuale. Alcune cantine producono olio a corredo della produzione vinicola, o hanno uliveti a delimitazione dei campi vitati, mentre per noi l’olio è importante quanto il vino, tanto da averlo anteposto nel nostro motto aziendale“.
Una decisione che arricchisce anche il territorio: il nome Serafica a Nicolosi oggi ha un impatto notevole, e realizza quattro etichette relative all’olio, e nove, divise in tre linee, per quanto riguarda il vino: Mirantur (da catarratto e nerello cappuccio, fermi e spumantizzati), la linea delle Grotte, con vini a denominazione Etna, e la più prestigiosa, nata un anno e mezzo fa, chiamata Versante Sud, che a oggi comprende un Etna Bianco e un macerato, cui si andranno unendosi un rosso e un Metodo Classico.
Mompeluso, Mompilieri, Monte Arso: le tre vigne di Serafica Nicolosi
La maggior parte delle vigne di Serafica Nicolosi si trova a Mompeluso, cono vulcanico laterale dell’Etna formatosi in seguito a un’eruzione avvenuta probabilmente intorno all’anno 1150. Il terreno, costituito da lapilli e scorie di piccole dimensioni, ha una colorazione che varia dal grigio al nero. Si coltivano qui, tra gli altri, carricante, nerello mascalese, nerello cappuccio e catarratto.
Quello di Mompilieri è un nome che evoca un passato doloroso ma anche una storia di resilienza e rinascita, profondamente legata all’attività vulcanica dell’Etna. Nato come antico casale, questo piccolo insediamento rurale prosperò per secoli grazie alla fertilità del suolo vulcanico, ma la sua storia fu tragicamente interrotta dalla devastante eruzione del 1669, la stessa che diede origine ai vicini Monti Rossi, che lo seppellì completamente.
Oggi luogo di memoria, dove la natura ha ripreso il sopravvento, in una piccola porzione di terreno, più tendente al giallo e ricco di silicio, Serafica Nicolosi coltiva una piccola quota di carricante, destinata alla produzione dell’Etna Bianco Grotta della Neve.
Come Mompeluso, anche Monte Arso si è formato in seguito all’eruzione effusiva del 1150 circa. La sua curiosa forma è dovuta alla particolare dinamica dell’eruzione che lo ha generato: la lava, anziché distribuirsi in modo uniforme, ha seguito un percorso peculiare, creando un accumulo di materiale che ha finito per disegnare una U rovesciata. Quanto al nome, non è difficile intuirne l’origine: qui è il ferro a dominare, e il colore rossastro del suo terreno, che ricorda quello della brace ardente, gli è valso l’azzeccato appellativo.
Si trova qui, sul fianco color ruggine della collinetta, l’ettaro più antico e prestigioso di Serafica Nicolosi: vigne di settant’anni, piantate ad alberello, composte principalmente da carricante, insieme a varietà reliquia come minnella, corinto greco, coda di volpe, bianchetta e visparola.
Niente terrazzamenti: solo un irto pendio (oltre il 30%) compreso tra gli 890 e i 970 metri di altitudine, con una magnifica vista sul golfo catanese. “Monte Arso ha una pedologia propria: qui i lapilli hanno una granulometria diversa da quelli di Mompeluso; sono più grandi e grossolani, e sono ricchi di ferro. Parliamo di un terreno molto drenante, eccezionalmente ventilato, dove non esistono rischi di ristagno, e di infezioni fungine conseguenti – spiega Maria Ausilia. Da qui prendono vita i due vini della linea Versante Sud.
Nicolosi: la Cenerentola dell’Etna
Mompeluso, Mompilieri, Monte Arso: una terna di nomi che figurerebbero bene nel novero delle contrade etnee, e dunque sulle etichette dei vini. Il periodo ipotetico, però, è d’obbligo: Nicolosi sconta ritardi decennali nel settore, iniziati già nel 1968, anno della nascita della denominazione Etna, cui il comune non aderì.
“Le adesioni a una denominazione, pur non essendo di natura strettamente politica, richiedono un forte impegno politico-amministrativo, qui mancato per decenni – spiega Salvo Ognibene – senza contare gli antichi contrasti tra diversi produttori e gruppi di interesse locali.
L’adesione alla DOC – aggiunge Maria Ausilia – è una scelta che coinvolge l’intera comunità di produttori, e richiede un consenso ampio. Le istituzioni locali e regionali giocano un ruolo fondamentale nel supportare e coordinare il processo di adesione: avrebbero dovuto fornire risorse e facilitare il dialogo tra i diversi attori”. Adesso le cose sembrano essere cambiate. La speranza è che all’attuale numero di 142 possano aggiungersi le contrade in via di individuazione nel comune, anche a beneficio di Serafica Nicolosi.
La degustazione a Serafica Nicolosi
La cantina Serafica Nicolosi produce a oggi, come dicevamo, nove etichette differenti. Ne abbiamo assaggiate sette. L’azienda lavora in convenzionale, usando uve coltivate in biologico certificato. In tutti i vini la quantità di anidride solforosa non supera mai gli 80 mg/l, meno della metà del tetto dei 200 mg/l previsti per legge per in vini bianchi (per i rossi si ferma a 150 mg/l).
Mirantur Bianco 2022
Da catarratto in purezza, proveniente dalla vigna di Mompeluso. “L’obiettivo era di creare un vino di pronta beva, ma nonostante ciò abbiamo deciso di concedergli un anno in più di affinamento in bottiglia rispetto al periodo minimo“, spiega Maria Ausilia.
Di canonico color giallo paglierino, al naso emerge immediatamente una nota di idrocarburo che – spiega Salvo Ognibene – non deriva da terziarizzazioni: “è una nota secondaria, fermentativa, che sembra derivare dai terreni su cui sorgono le vigne. Una caratteristica che ritroveremo in tutti i vini della batteria“. Si arricchisce con note vivaci di agrumi e delicate sfumature di fiori bianchi. In bocca è fresco e di apprezzabile sapidità, con un finale agrumato e amarognolo tipico del vitigno.
Etna Bianco 2021 Grotta della Neve
Composto al 90% da carricante, e al 10% da catarratto, appartiene alla linea delle Grotte. Le uve di carricante provengono dal vigneto di Mompeluso e da una piccola vigna a Mompilieri; quelle di catarratto da Mompeluso. Il 40% del vino affina in botti di rovere francese da 20 ettolitri, per ammorbidire gli spigoli e aggiungere complessità, mentre il restante 60% matura in acciaio, preservando la freschezza e i profumi primari.
“Il nome lo hanno ispirato le affascinanti grotte di scorrimento lavico che caratterizzano il territorio etneo“, spiega Maria Ausilia”. L’Etna ha modellato nel corso dei secoli il territorio circostante con le sue colate laviche; raffreddandosi hanno creato un labirinto di grotte sotterranee, spesso utilizzate in passato come rifugi o depositi naturali. Le grotte di scorrimento lavico, come la Grotta del Gelo e la Grotta dei Lamponi, rappresentano un patrimonio geologico unico, che testimonia la storia millenaria dell’Etna e la sua influenza sulla vita delle comunità locali. “Questa sarà l’ultima annata in blend – prosegue – e d’ora in poi realizzeremo questo vino esclusivamente con carricante, per esprimere al meglio l’identità del nostro territorio“
Dal colore caratteristico, si apre con note erbacee, seguite da sentori floreali di ginestra in fiore e mentuccia. Sfumature sulfuree e di idrocarburi. Al palato, il vino si presenta con una piacevole sapidità e una vibrante acidità. Il finale è persistente e appagante, lasciando una sensazione di freschezza appagante.
Etna Bianco 2021 Versante Sud
L’Etna della linea più importante. Prodotto in piccola parte con alcune varietà reliquia, insieme a una preponderante quota di carricante, le uve provengono interamente dal vigneto di Monte Arso. Al naso è una esplosione di agrumi intrecciati a erbe aromatiche. Delicati sbuffi di idrocarburi anticipano la mineralità che caratterizza l’assaggio.
Versante Sud Macerato 2021
Una prestigiosa selezione di uve autoctone, tra cui carricante, minnella, insolia e altre varietà reliquia, anch’esse tutte provenienti da Monte Arso, che ha permesso all’azienda di conquistare le attenzioni di prestigiosi ristoranti. “Il nostro macerato nasce dalla volontà di raccontare il territorio etneo in tutte le sue sfaccettature, anche grazie alla profonda conoscenza del nostro enologo, Nicola Colombo“. Splendido nella sua veste dorata con lievi sfumature ambrate, al naso emergono albicocca e mela cotogna, destinati ad arricchirsi di camomilla, mango, e tè nero. Intenso e sapido all’assaggio, è un vino da abbinare senza tema a tutto pasto.
Mirantur Rosso 2021
Tra i pochissimi esempi di nerello cappuccio in purezza, le uve provengono dal vigneto di Mompeluso. Questo vino, come spiega Salvo Ognibene “rappresenta la rivalsa del nerello cappuccio, tradizionalmente snobbato rispetto al fratello mascalese. Qui invece gioca al meglio le sue carte, tutte puntate sulla semplicità e la gioventù. Parliamo di quello che gli americani definirebbero uno juicy wine“.
Il Mirantur Rosso di Serafica Nicolosi riflette la storia del suo paese: entrambi ignorati per troppo tempo, ma ora pronti a brillare grazie alla passione e alla determinazione di chi li ha riscoperti. Rubino con ancora venature purpuree, profuma di ciliegia e lampone, che si fondono delicate note di fragoline di bosco e altri piccoli frutti rossi, creando un bouquet gustoso. Al palato è succoso, con tannini gentili che accarezzano il palato. Una vera rivelazione.
Etna Rosso 2019 Grotta del Gelo
Proveniente dal vigneto di Mompeluso, le uve di nerello mascalese (80% dell’uvaggio) e cappuccio, dopo la vinificazione, maturano per 12 mesi in botti di rovere francese. Di colore elegante e caratteristico, profuma di viola e fragoline di bosco, per poi evolvere in sentori più intensi di erbe mediterranee e spezie. Al palato è ben strutturato, con tannini presenti ma ben integrati.
Etna Rosato 2022 Grotta dei Lamponi
Da sole uve di nerello mascalese, vinificate con la tecnica della criomacerazione. Di color rosa tenue, delicato, ricorda al naso le fragoline di bosco e il melograno. Assaggio fresco, sapido e piacevole.
Non solo vino: l’olio di Serafica Nicolosi
La scelta di anteporre l’olio al vino nel claim aziendale, dicevamo, è intenzionale. “Crediamo molto nell’olio e nelle sue potenzialità: lavoriamo a freddo le olive, vale a dire entro i 27 gradi, e raccogliamo già a ottobre. Tutto questo perché le temperature in Sicilia sono sempre più proibitive“.
Quattro le linee realizzate, identificate dai numeri da 01 a 04, tutte provenienti da uliveti di proprietà coltivati in biologico. Il primo, un DOP Monte Etna, proviene da sole cultivar di nocellara etnea, coltivate fino a mille metri di altitudine. Il secondo, un IGP Sicilia, è a base di nocellara etnea e nocellara del Belice. Il terzo, come il primo, a base di nocellara etnea, con un vegetale e una piccantezza maggiormente evidenti. Il quarto, un blend di nocellara etnea, biancolilla e carolea, è il più mainstream dei quattro: “è quello che il siciliano, durante un assaggio comparativo, identificherebbe come l’olio buono, l’olio familiare, e in effetti è prodotto con un olivaggio tradizionale“.
La segale irmana: uno strumento di recupero
E se la tradizione vuole l’olio in abbinamento col pane, ecco che a Serafica Nicolosi si producono anche ottime pagnotte con una generosa quantità di segale irmana. Unica varietà autoctona siciliana, è stata recuperata grazie alla collaborazione con enti locali e università. La farina di segale, apprezzata per le sue proprietà nutrizionali e la versatilità in cucina, è un prodotto di eccellenza che l’azienda spera di poter diffondere ulteriormente.
“La coltivazione fu abbandonata tra gli anni Settanta e Ottanta. Noi, un po’ per gioco e un po’ per scommessa, nel 2012, siamo partiti da mezzo chilo di semente, bonificando un terreno abbandonato all’immondizia. Oggi siamo arrivati a 5 ettari. Siamo iscritti nel registro delle varietà siciliane; in accordo col Parco dell’Etna abbiamo fatto delle prove sperimentali e con il comune di Nicolosi abbiamo lanciato la denominazione comunale“.
Non è tutto rose e fiori, però. Anzi, come spiega Nino Serafica: “a Nicolosi ci saranno una cinquantina di ristoranti, ed è unanimemente considerata uno dei poli gastronomici più attrattivi della provincia. Considerata anche la crescente importanza del settore della panificazione, la segale locale dovrebbe suscitare interesse; invece la utilizzano in pochissimi”.
Serafica Nicolosi: un presidio per la società e il territorio
Che Serafica Nicolosi abbia un rapporto più che stretto con il proprio territorio non lo si evince solo dalle parole di Maria Ausilia, ma anche dalle attività che l’azienda svolge nei confronti dei propri concittadini: “vinifichiamo e moliamo anche per conto terzi, anche quando si tratta di piccolissime partite di coltivatori locali. Ci sembra corretto offrire un servizio ai nostri concittadini, al quale aggiungiamo l’eventuale possibilità di analizzare i vini prodotti“.
Una cantina, dunque, ma anche un presidio sociale e territoriale, arricchito dalla disponibilità di una ricca fonte di acqua, naturalmente effervescente, che la famiglia ha incanalato in un moderno sistema di distribuzione, a disposizione di tutti: “forniamo un gettone, al prezzo simbolico di un euro, con il quale si possono avere fino a 30 litri”.
Serafica Nicolosi dimostra che una cantina può essere molto più di un semplice luogo di produzione: può diventare il cuore pulsante di un luogo, un punto di incontro dove la comunità si ritrova e si riconosce. Non un’entità isolata, ma un elemento vitale, profondamente integrato nel tessuto sociale e ambientale che la circonda.
L’invito, allora, è a guardare con occhi nuovi Nicolosi e i suoi vini, un tesoro nascosto che merita di essere scoperto e apprezzato. Se anche solo una parte dell’amore e della dedizione che questa famiglia etnea riversa ogni giorno su questa terra potesse essere condivisa da chi troppo spesso la snobba (per tacere di chi la tormenta un sacco di spazzatura dopo l’altro) il futuro di questo territorio sarebbe già scritto.