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Vino
12/09/2025
Di Massimo Zanichelli

Stile libero

o le occasioni del vino

Spigolature di Langa

Di stanza nell’Albese per una settimana, la penultima di luglio, per scrivere l’articolo sulle “Figlie di Langa” in uscita nel prossimo numero di Vitae, ho incrociato altri vini accanto al Barbaresco e al Barolo, alcuni prodotti dalle stesse famiglie ma, per così dire, “fuori tema” (come una volta ci dicevano a scuola), che recupero in questo “diario di viaggio” insieme ad altri provenienti dal resto d’Italia e d’Europa.
Con le tre sorelle Rocca – Daniela, Monica e Paola, le figlie di Angelo – della cantina Albino Rocca di Barbaresco si sono intersecati due bianchi agli antipodi: il loro Piemonte Cortese La Rocca 2023 e, conservato nella loro cantina tra varie bottiglie renane, il Riesling Rausch Kabinett 2002 Forstmeister Gelz-Zilliken. Il primo – raccolto dopo la metà di settembre come la barbera, fermentato in acciaio e maturato per otto mesi in barrique con bâtonnage per un mese una volta a settimana – è un vino succoso e speziato, dove la presenza del legno, mai invadente, non sottrae spazio a una persistenza sapida. Il secondo – proveniente da un Grosse Lage (“Grand Cru”), che sarei andato a visitare un mese dopo, della Saar, la zona meno conosciuta della Mosella, in una tipologia squisitamente tedesca come il Kabinett – era all’apice della fusione tra frutto e minerale, tra dolcezza e acidità.
Al Castello di Neive, in compagnia di Carolina Stupino e di suo marito Marco Bottiroli, ho assaggiato uno dei più sorprendenti Arneis di sempre, il Montebertotto 1999. Italo Stupino, il padre di Carolina scomparso nel 2023, scelse di coltivare l’arneis perché la moglie Margherita, detta Mita, beveva solo vino bianco. Dopo due anni di selezione clonale, venne impiantato il primo vigneto nel 1977 nella cascina Montebertotto di Neive, un ettaro ancora esistente (oggi sono quattro) vendemmiato per la prima volta nel 1979, l’anno in cui nasce Carolina, con il primo imbottigliamento ufficiale datato 1982. È un bianco fragrante, articolato, persistente, ancora fresco e sapido, tanto da ricordare una frase di Gino Veronelli scritta su Panorama a proposito di un altro Arneis: “Un vino dal nerbo viperino fiorale – fruttato fresco acido, vibra come la coda di una vipera”. All’Aromatario di Neive apriamo il Riesling Quarzit 2018 di Peter Jacob Kühn (Rheingau), che è un’altra vibrazione di acidità minerale, accanto al quale il Montebertotto non sfigura per niente, anzi. E poi il Montepulciano d’Abruzzo 2015 di Valentini: un rosso che restituisce al primo sorso un senso spiccato d’uva, una polpa materica di frutto, un fermento continuo, una succosità felpata, complessa, ammaliante.
Nell’accogliente, silenziosa sala degustazione della sua cantina a Castiglione Falletto Elena Brovia, dopo un cortocircuito 2019-1989 di Barolo Rocche, apre una bottiglia di Dolcetto d’Alba Solatio 1996. “Il Dolcetto era il vino che più rappresentava i piemontesi. Non puoi raccontare la vecchia generazione senza il Dolcetto, era il vino che si beveva tutti i giorni” dice Elena. Purtroppo negli ultimi tempi non è più così: per quegli strani accadimenti di cui sfuggono il senso e le ragioni, questo grande rosso è entrato in un cono d’ombra mediatico e commerciale. Il Solatio è una versione tardiva più “eterodossa”. “Nasce per caso nel 1985”, mi racconta Elena. “L’abbiamo lasciato qualche giorno in più in vigna perché non eravamo pronti ad accoglierlo in cantina. Faceva 15,3 di alcol! Qualcuno disse a mio padre Giacinto di diluirlo per farne due vasche, ma lui si oppose: ‘Manco morto!’. Aveva una grande acidità”. Proviene da una vigna in mezzo ai nebbioli da Barolo della Brea di Serralunga, “e non pensiamo minimamente di toglierla”. Il colore è ancora rubino intenso e vivo, l’olfatto profuma di mora, di terra, di tartufo, il palato è un rigoglio di frutto rosso e nero, cremoso e dolce di morbidezza non zuccherina che restituisce il tannino, il sale, la profondità del lignaggio locale. E, inevitabilmente, “nebbioleggia”.
Con Marta Rinaldi nell’antro della sua cantina a Barolo.Oggi (perché fino a pochi anni fa le cose andavano diversamente) tutti stravedono per i Barolo di questa cantina, ma in pochi conoscono la gemma nascosta della famiglia, l’outsider della casa, il Rosae, da uve ruché. È un vino che ho sempre amato fin dalla prima volta che l’ho assaggiato una ventina d’anni fa: Beppe Rinaldi una volta mi portò a vedere la vigna. “Sono due appezzamenti piantati alla Ravera dal nonno Giovan Battista, che è mancato nel 1991” mi racconta Marta, la figlia di Beppe, scomparso a sua volta nel 2018. “Aveva preso delle barbatelle da un amico del Monferrato ma non è riuscito a fare la prima vinificazione nel 1992. È stato un passaggio di consegne con mio padre”. Il 2023 è tutto un fervore aromatico di rosa, di spezie macinate, di pepe. Al palato è una gioia succosa e tonica, persistente e contrastata. Il 2010 ha un’ariosità di arancia sanguinella, di rosa canina, di spezie. Invitante, slanciato, fresco, con un tannino tutto langarolo a chiudere.

A pranzo con gli amici

Potrebbe essere il titolo per una rubrica dentro la rubrica. Sei bottiglie da ricordare aperte nella prima domenica di settembre.
L’Extra Brut Rosé 2015 di Marco Parusso, sboccato nell’ottobre del 2024 dopo 100 mesi sui lieviti, proviene da uve “riposate” (non appassite) per qualche giorno in cantina e da un remuage manuale. Ha un colore tra il rame e l’albicocca, un’evoluzione aromatica di nebbiolo sublimato, una carbonica cremosa e dritta, una struttura non indifferente cui si associa un’invitante facilità di beva che lo rendono assai versatile a tavola.
Il Riesling Julian 2019 di Matthias Lanz nasce in un vigneto che sembra trapiantato dalla Mosella talmente è ripido (70%) ed è impiantato a 820 metri di quota sopra una stazione di servizio, quella di Matthias, lungo l’autostrada del Brennero, a Sciaves, una frazione di Bressanone, in Valle Isarco. L’affinamento del vino avviene in un bunker militare scavato nella roccia. Ha colore limpido, distribuisce i classici e irresistibili sentori del riesling (agrumi e roccia, scintille pietrose e rivoli di pesca) lungo correnti multiple di sapidità e freschezza.
Fermentato e maturato in anfora, il Cerasuolo d’Abruzzo 2023 di Francesco Cirelli rappresenta al meglio l’assoluto abruzzese di questo vino, che non ha paragoni in Italia: non è rosa e non è rosso ma ha il colore della ciliegia selvatica (“cerasa”, da cui il suo nome), non è più centro e non è ancora sud. Ha un’anima spontanea e boschiva, succosa e gagliarda, con una leggerezza da rosato e un impeto da rosso, un tannino filigranato e penetrante, un contrasto quasi da vino bianco e un finale coronato da tanti piccoli, gustosi frutti rossi.
Il Dolceacqua Bricco Arcagna 2019 di Terre Bianche nasce nella sommità della collina di Arcagna, “nomeranza” (cru) elettiva, da piante di rossese che vanno dai 30 ai 100 anni. Qualche tempo fa Filippo Rondelli mi ha detto che i grappoli difformi del rossese, quelli con gli acini più piccoli e spargoli, danno i vini migliori, quelli con la qualità aromatica più stratificata, e che il rossese è un’uva fedele e puntuale nella lettura del territorio. Tutto questo si rispecchia e rivela in un vino che a distanza di sei anni dalla vendemmia rilascia un concentrato di carattere balsamico e mediterraneo, fitto di erbe, di aria di mare, di frutti neri e tapenade.
Adoro il Torcolato di Breganze e il Torcolato di Breganze che Innocente Dalla Valle, vignaiolo appassionato e generoso, produce a Ca’ Biasi, la sua casa-fattoria situata sulle Fratte di Breganze. Non c’è annata che non estragga il fascino e l’espressione di questo nobile, vulcanico passito e il 2020 non fa eccezione: albicocca, pietra focaia, miele, agrume candito, densità e velluto, finale dolce-fresco-sapido.
In chiusura, tutta la consistenza e tutta l’eleganza della Beerenauslese 2010 vinificata da Michael Burgdorf per la cantina Wegeler. Arriva dal Rothenberg di Geisenheim (città del Rheingau nota per la scuola di viticoltura ed enologia istituita nel 1872), un Grosse Lange (“Grand Cru”) che si sviluppa su una collina esposta a sud, la cui pendenza del 40% arriva fino ai primi edifici del comune. Deve il proprio nome al colore rosso (“roth”, grafia antica del tedesco “rot”) dei terreni per la presenza dell’ossido di ferro, combinato con ardesia e quarzite. Il vino è purezza di botrite sia sul piano aromatico (muffa nobile, frutta esotica, zafferano) sia su quello della concentrazione e della dolcezza: 191 grammi/litro di zucchero sublimati da un’acidità elettrica di 13 grammi/litro!

Photo credit: Britta Nord

Massimo Zanichelli
Massimo Zanichelli

È degustatore professionista, wine writer e documentarista. Per quindici anni ha lavorato per il Gruppo Editoriale L’Espresso, firmando la guida I vini d’Italia (2002-2016) e la rubrica “La bottiglia” del settimanale “L’Espresso“. Ha scritto il Nuovo Repertorio Veronelli dei vini italiani (Veronelli Editore, 2005), I Grandi Cru del Soave (Peruzzo, 2008), Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi (Bietti, 2017), Il grande libro dei vini dolci d’Italia (Giunti, 2018), I quattro elementi del vino italiano. La Montagna (Bietti, 2022). Collabora con “Vitae”, “James Magazine”, “L’AcquaBuona”, “Civiltà del Bere”. Tra i suoi documentari sul vino: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Nel nome del Dogliani (2017), La casa del Pinot Nero (2020), Mosnel di Franciacorta (2024).

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