Stile libero
o le occasioni del vino

Fermenti piacentini e tapenade sarda
Il ristorante La Palta di Bilegno, frazione di Borgonovo Val Tidone, nella campagna piacentina, è un luogo del cuore che frequento da molti anni e dove ho visto crescere il talento di Isa Mazzocchi stagione dopo stagione. Ne sono stati ulteriori testimoni i tagliolini alla rapa rossa con aglio, olio, peperoncino e rigaglie di cortile; il “pastiss alla piacentina” della Contessa Arcelli Fontana, un piatto di origine rinascimentale dove la pasta frolla dell’involucro interagisce con il ripieno di stracotto di capriolo; l’anatra affumicata con dolceforte di uva fragola e cicoria; la panna cotta ai semi di fieno, pesche sciroppate e cremoso di yogurt ai fiori di sambuco: piatti che a rileggerli mettono ancora l’acquolina in bocca. Aperte due bottiglie. Il Verderame, bianco rifermentato in bottiglia a base di trebbiano, ortrugo e sauvignon, è prodotto dal Vecchio Consorzio 1953, cantina “resuscitata” nel 2022 da Massimiliano Croci e Pietro Gazzola, due affermati produttori locali che, di fronte all’abbandono dei vigneti della loro terra, si sono impegnati a garantire l’acquisto di uve, purché provenienti da agricoltura biologica, presso alcuni contadini locali. Il vino aveva colore arancio con naturali velature, profumi di fermenti rustici, di campi in fiore, di arbusti, di delicata aromaticità, sorso effervescente, esuberante, gustoso, dal tannino vivo. Proveniente da una vigna ad alberello di 35 anni esposta a sud a 680 metri di quota e accarezzata dal maestrale, il Cannonau di Sardegna Manca 2021 dei Garagisti di Sorgono incantava per il carattere salmastro e mediterraneo dell’olfatto, per la succosità di un palato tonico, vigoroso, lungo che chiude con note di acciuga e oliva. Lo producono a Sorgono, capoluogo del Mandrolisai, paesaggio storico del Nuorese al centro della Sardegna, Simone Murru insieme agli amici Pietro Uras e Renzo Manca, che a questo vino dà nome e volto (in etichetta), da vigne ereditate dai nonni e dai genitori.
Una serata ossolana
Ghesc è un borgo medievale abbandonato in Val d’Ossola, estremo nord montano del Piemonte, al centro di un’azione di recupero da parte dell’Associazione Canova, un laboratorio a cielo aperto per studenti e artisti. Maurizio Cesprini, che la presiede, si è addirittura trasferito qui con la famiglia dopo aver ripristinato una delle otto case in pietra costruite con murature a secco. Una sera di fine settembre, su una tavolata all’aperto davanti al suo camino, tra scultori, musicisti, pittori e gastronomi, sono sfilate una serie di bottiglie che hanno illuminato il convivio notturno. Il “colfondo” Alla Cima 2023 di Stefano Rebuli era profumato, fragrante, corroborante, con una carbonica vivissima e un allietante sorso dal sapore agrumato. Il Colli di Luni Vermentino Vigne Basse 2022 di Terenzuola aveva sintetizzato buona parte del potenziale minerale che tende a elargire dopo qualche anno, facendolo assomigliare terribilmente a un Riesling: succoso, teso, dinamico, con persistenza di petrolio. Bianco artico-siderale, il valdostano Blanc de Morgex et de La Salle 2022 di Ermes Pavese profumava di limone e di erbe alpine, mentre la bocca procedeva per laminature rocciose e pietrose, per accelerazioni di sale minerale, per acuti verticali. Sul numero 34 di Vitae, settembre 2022, avevo pronosticato al Rosato 2021 di Bonavita un futuro radioso e oggi il vino che Giovanni Scarfone coltiva a Faro Superiore, sulla cima di Cariddi, è un’irresistibile sinfonia in rosso: tinta corallo, profumi di peonie, ribes, melograno, ciliegia, tamarindo, palato succoso, selvatico, contrastato, sapidissimo. Il Vagabondo Rosso Le Anfore 2010 di Marcel Zanolari è un assieme infinito (80 varietà!) di Piwi, moltissimi dei quali messi a punto dal genetista svizzero Valentin Blattner, coltivati tra Bianzone, Tirano, Teglio e vinificati in anfore di cemento e in acciaio: il vino profumava di olive e pino silvestre, aveva un sorso tremendamente succoso, ematico, balsamico, con china, frutti di bosco e amarena che senza soluzione di continuità accompagnavano un tannino che era una nuvola a un finale sanguigno-salato. Il Barbaresco Gallina 2009 della famiglia Oddero, in formato magnum, non era meno esplosivo, portando a compimento espressivo la naturale eleganza del nebbiolo di questo celebre cru di Neive (qui due ettari esposti a sud tra marne calcaree e sabbie chiare): la menta, l’eucalipto, il cuoio, la terra, l’attacco balsamico, il talco mentolato, il tannino compatto, capillare, finissimo e una progressione inarrestabile l’hanno reso a distanza di più di un quindicennio un vino emozionante.
Interni milanesi
Primo lunedì d’ottobre a casa degli amici Giancarlo Leone e Luta Bettonica (lui architetto, lei designer, di cui ho già parlato in precedenza) a deliziarci di piatti fatti in casa, tra carpacci di cervi piacentini e rigatoni ai pistacchi siciliani, e di vini di assoluta personalità. Il Torre-Kalena 2022 è uno dei più grandi rosati italiani. Lo produce Giulio Steiger (madre molisana, padre svizzero) nella campagna incontaminata di Casacalenda a metà strada tra Larino e il Molise più profondo. Taglio di montepulciano 60%, aglianico 30% e tintilia, uva intera per il 70%, fermentazione spontanea in tonneau, blend nel cemento, un anno di maturazione ancora in tonneau. Profumava di fermenti, di peonie, di tamarindi, di agrumi rossi, di frutti selvatici, ha un palato sciolto, espressivo, balsamico, persistente. Rispetto ai rossi dell’azienda, fa legno piccolo (inavvertibile) e costa di più: se non è una rivoluzione, poco ci manca. Il V 1981 annata 2021 di Giuseppe Lazzaro è un nerello mascalese proveniente da una vigna di Randazzo a 960 metri di quota, in mezzo alla roccia e a un uliveto, a poca distanza dalla colata del 1981, da cui il nome. Fa 18 mesi in anfora terracotta vetrificata (che lo protegge dall’ossidazione, nemico principale del vitigno) e altrettanti in bottiglia (quelle prodotte sono un’inezia, 394!). Sprigionava calore vulcanico, brace di lava, tensione basaltica, incenso, cenere, un tannino ruggente, un’acidità brillante, un’invitante succosità. Il Barolo Bussia 2017 di Marco Parusso è il manifesto della sua idea di “vino alimento”, cioè un rosso a base tannica, non acida, prodotto con uve fatte “riposare”, ovvero rilassate, più mature, più distese, ma non appassite, che conferiscono al vino un’acidità più bassa e un tannino più polimerizzato, ambedue dunque più digeribili. Il resto lo fa la maturazione in legno piccolo a contatto con i lieviti indigeni della “madre”. Morbido ed esotico, succoso e tenero, aveva compattezza tattile, frutto dinamico e un gustoso, avvolgente, squisito senso di pesca. Un Barolo controcorrente che fa storcere il naso ai puristi ma d’inequivocabile vocazione gastronomica: la bottiglia è finita in un amen. Fermentazione spontanea, macerazione di 40 giorni in tini di castagno e botti di rovere aperte, maturazione di un anno in tonneau e di un altro anno in botti di rovere, affinamento di due anni in bottiglia: il Taurasi Puro Sangue 2016 di Luigi Tecce era un vino massiccio, frontale, esuberante, stratificato, vulcanico, terroso che non concedeva spazio alle mezze misure e che ha lasciato segni potenti e profondi nella persistenza del palato e della memoria. A cena erano presenti anche Matthew Noble, titolare dell’omonima galleria d’arte aperta nel 2021 in via Ponte di Legno (Lambrate), e Pierantonio Micciarelli, fotografo, regista di pubblicità e di documentari, giramondo, personalità estroversa e chic: un personaggio capace d’intrattenerti con un fuoco di fila di aneddoti e ricordi, maturati anche sui set cinematografici in molti anni di attività come aiuto regista. Tre giorni dopo siamo invitati nella loro dimora, un’ex casa di ringhiera in zona Ronchetto sul Naviglio che Pierantonio ha trasformato all’interno nel suo personalissimo Vittoriale: impossibile non rimanere affascinati dagli spazi, dagli arredi, dai colori, dall’oggettistica, dai pavimenti, dai soffitti e da un “horror vacui” decorativo la cui collezione riempirebbe le pagine di un catalogo d’arte. Su un’intera parete dello studio campeggiano le fotografie di Pierantonio con Sofia Loren, Federico Fellini, George Clooney, Keanu Reeves, Antonio Banderas, giusto per ricordare i primi che mi vengono in mente. A tavola, tra una saporita vellutata di zucca con mousse al Parmigiano e un appetitoso arrosto ripieno, c’erano le bottiglie della cantina Karas Wines, comprate da Pierantonio e Matthew in Armenia, dopo un viaggio in auto di migliaia di chilometri. I vini, più tecnici che caratteriali (leggo che l’enologo consulente è Michel Rolland; “karas” significa anfora, ma viene utilizzata solo per i pochi vini da uve autoctone), nascono principalmente da vitigni alloctoni nel villaggio di Arevadasht, regione di Armavir, su terre vulcaniche tra gli 800 e 900 metri di quota della valle di Ararat che guardano l’omonimo monte, puntualmente riprodotto sulle etichette, in uno scenario che immagino emozionante. Lo Chardonnay 2022 (sei mesi in rovere armeno e francese) era ricco, maturo, fruttato, definito, di buon accompagnamento gastronomico. Proveniente da un micro terroir della valle – alluvionale con argille e ciottoli – e vinificato in acciaio, il Syrah Alluvial Kraki Ktor 2022 aveva un carattere più spiccato, franco, gagliardo: ematico, selvatico, succoso, contrastato. Il Grand Karas 2020, taglio di syrah, cabernet franc e addirittura montepulciano con 14 mesi in rovere armeno e francese, era l’icastica fotografia del rosso internazionale: profumato, potente, boisé.
Photo credit: Britta Nord