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Olio
20/12/2024
Di Stefania Raspa

Un viaggio oliocentrico

Un viaggio in treno, direzione Molise, un incontro casuale che si è rivelato quasi un segno. Immersa nella lettura dell’articolo di Luigi Caricato sul numero di Marzo 2024 di Vitae dal titolo “Che suono hanno gli olivi”, mi tornavano in mente, come piccole madeleines, istantanee di odori e di suoni della mia infanzia, quando mia nonna mi portava con sé nell’uliveto di famiglia per controllare lo stato di maturazione delle olive prima della raccolta. Mi accorgo che la signora seduta di fianco sbircia di sottecchi l’articolo e, incuriosita, mi chiede se “ero del mestiere”. Da questo approccio discreto si è aperta una narrazione intima, un racconto singolare di un rapporto esclusivo, un dialogo tra l’uomo e la pianta, argomento di cui, fino a pochi minuti prima, stavo leggendo, sostenuto da apporti scientifici.
La signora Rosaria mi confida che parla con gli ulivi, con le sue piante che considera le sue creature. Da qui comincia un racconto semplice, fatto di dedizione alla natura e di rispetto per la terra e per il paesaggio.
Lo storytelling – così come il viaggio reale – mi riporta alle origini, in Molise, sulle colline tra i paesi di Rotello e San Martino in Pensilis, quelle zone dell’area Frentana vocate da secoli alla coltivazione dell’olivo.
Quella della signora Rosaria è una passione nata da bambina, quando i genitori, arrivato il periodo della raccolta delle olive tra Ottobre e Novembre, la portavano in campagna per partecipare al rito della “olivagione”, neologismo coniato da Luigi Caricato proprio per concentrare e sintetizzare in un unico termine quel tempo dell’anno tra l’autunno e l’inverno che racchiude le attività della campagna olearia.

La raccolta delle olive, un vero e proprio rito, un momento atteso per tutto l’anno, in cui si rinsalda il legame con la terra, ringraziandola per l’abbondanza dei suoi frutti.
Sveglia all’alba, pesanti scale di legno da portare in spalla, teli e sacchi di iuta cuciti a mano per raccogliere le olive e poi portarle al frantoio, dove si aspettava anche tutta la notte il turno per la macinazione delle proprie olive, rigorosamente macinate a freddo.
Oggi la signora Rosaria porta avanti con determinazione e orgoglio questa tradizione, il suo rito irrinunciabile, il suo legame con la terra. Da qualche anno è riuscita a coinvolgere i figli, la speranza di una continuità familiare. Una piccola azienda agricola – “Figliola” di San Martino in Pensilis – costituita da 40 alberi, seguiti con attenzioni particolari e dedizioni esclusive: le erbacce estirpate a mano, con delicatezza, la terra intorno agli alberi pulita, quasi come un tappeto, trattamenti naturali.
L’amore per i suoi olivi nutre e fa bene anche al paesaggio e alla biodiversità: fiori spontanei, coccinelle e api trovano un ramo sicuro.

E mentre cura “i suoi figli”, la signora Rosaria parla con ogni albero, non trascura nessuna pianta. Al momento di raccogliere i frutti, i suoi olivi non possono che darle soddisfazioni: un olio 100% biologico, di un verde vivo, puro, senza compromessi con la chimica, un atto di rispetto verso sé stessi e le persone che lo mangeranno, non importa se non raggiunge grandi numeri produttivi, è poco ed è per pochi, è il giusto risultato di una natura rispettata.
Dopo questa esperienza di vita e di contatto con la natura, riprendo la lettura dell’articolo iniziale, che ha come incipit la frase “anche gli olivi hanno un’anima”. Ed è proprio quel soffio, quel vento all’origine della sua etimologia, che attraversa i rami degli olivi e trasporta sussurri e sibili, modulandoli in un crescendo e calando di note accordate dall’intensità delle forze naturali.

Una comunicazione con la natura ma anche un “sentire” interiore, che va oltre quello confermato e sperimentato dalla neurobiologia, attraverso l’ascolto di segnali emessi dalla pianta e poi decodificati e reinterpretati in brani musicali. L’approccio della signora Rosaria è proattivo, nel suo creare un rapporto con le piante, con cure e attenzioni quasi filiali, le fa vivere meglio, dedica loro tempo e trattamenti particolari che avranno un impatto positivo non solo sull’ambiente e sul paesaggio ma anche sul prodotto finale. Dopo qualche settimana ho assaggiato l’olio, frutto di quegli olivi cresciuti con la voce, con pazienza e amorevolezza: al di là di basi scientifiche che possano dimostrare qualche beneficio specifico in merito, posso dire di aver degustato – usando termini metaforici e non dell’analisi sensoriale – un olio tranquillo, non stressato, armonico e gradevole.
Questo viaggio emozionale mi accompagna in un altro viaggio, quello reale, attraverso il paesaggio olivicolo del Molise.

L’olivo molisano ha attraversato i millenni

L’olivicoltura in questa regione ha origini antiche, millenarie, evidenziate da un lungo elenco di citazioni dal mondo classico, in particolare la letteratura latina ha tramandato illustri testimonianze storiche sull’apprezzamento degli oli prodotti nell’area Frentana e nel Venafrano: a tesserne le lodi citiamo Catone il Censore, Marco Terenzio Varrone, Quinto Orazio Flacco, Giovenale e Plinio il Vecchio, sino ad arrivare ai tempi moderni in cui lo scrittore molisano Francesco Jovine dedica queste parole ad un paesaggio olivicolo a lui familiare: “Su ai margini della piana la campagna tende ai monti prossimi con pigra dolcezza di declivi e di prode [n.d.r. strisce di terra al margine di una strada campestre, di un campo, lungo un fosso] folte di ulivi dalle chiome interamente verdi, fronzute; le piante numerose in bell’ordine fanno bosco, hanno una cordiale solidarietà di vita. Ai suoi orci affluisce ancora, come duemila anni fa, l’olio giallo e denso come miele che piaceva a Cicerone”. 

Paesaggio e Parco: un binomio da proteggere e valorizzare

L’essenza del territorio molisano è fortemente caratterizzata dalle colline ricoperte di olivi, ben radicati con tronchi forti e secolari e dal fogliame argenteo che il vento sfuma in divertissements cromatici.
Quei paesaggi olivicoli, dal verde delle dolci colline del Basso Molise, scendono, come gli antichi tratturi -autostrade della transumanza – seguendo il corso dei fiumi Trigno e Biferno, virando verso il colore del mare Adriatico, con vista sulle Isole Tremiti e il Gargano.
Gli oliveti molisani sono impiantati prevalentemente a ridosso della fascia costiera e sulle colline preappenniniche. Le zone più produttive e vocate sono localizzate nella provincia di Campobasso e nella piana di Venafro, in provincia di Isernia. Ed è proprio qui che l’olivo è tutelato in un ambiente ad hoc: è il Parco Regionale dell’Olivo di Venafro, la prima area protetta dedicata all’olivo, unica nel suo genere nel Mediterraneo.
Il territorio del Parco Regionale è stato inserito nel 2018 nel prestigioso Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici. Dal sito del Parco si legge chiaramente la finalità: “La sua istituzione intende promuovere e conservare l’olivicoltura tradizionale che a Venafro ebbe fasti e splendori, tanto che i Romani ritenevano l’olio prodotto in loco il più pregiato del mondo antico. Nessun luogo al mondo coltivato ad olivo, infatti, può vantare simili tradizioni e citazioni letterarie. Il Parco è anche occasione di riscatto per un territorio penalizzato negli ultimi decenni dall’incuria e dall’abbandono, a dispetto delle sue qualità paesaggistiche, naturalistiche e storiche”.

La DOP Molise

Secondo gli ultimi dati disponibili [n.d.r. non è nota la data] dell’ARSARP (Agenzia Regionale per lo Sviluppo Agricolo, Rurale e della Pesca), il settore olivicolo molisano può contare su una superficie olivetata di 14.340 ettari, 13.355 aziende, 119 frantoi attivi.
Sono ben oltre 20 le cultivar autoctone ufficialmente iscritte nello schedario oleicolo italiano. Tra le più diffuse la Gentile di Larino, seguita dalla varietà Aurina, Leccino ed Oliva nera di Colletorto che in misura non inferiore al 80% compongono la DOP Molise, di cui il restante 20% è dato dalle varietà Paesana bianca, Sperone di Gallo, Olivastro e Rosciola di Rotello. Sono presenti anche le varietà diffuse su tutto il territorio nazionale quali Leccino, Frantoio, Moraiolo, Pendolino, Coratina.  L’Aurina e la Gentile di Larino – che da sola rappresenta un terzo dell’olivicoltura molisana – sono le cultivar che più delle altre caratterizzano la DOP Molise.

Le caratteristiche organolettiche

L’olio DOP Molise si presenta giallo dorato dai riflessi verdolini. All’olfatto sorprendono con eleganza e avvolgenza le note di frutta bianca ed erba fresca appena tagliata, risaltano anche sentori di carciofo e cicoria selvatica, accompagnati da toni aromatici di menta e rosmarino.  Al gusto è deciso e armonico, si arricchisce di note fruttate e vegetali a cui si affiancano equilibrati toni di amaro e piccante in chiusura.

La tradizione culinaria sposa l’extravergine molisano: abbinamenti da matrimonio

Un olio profumato di erbe e ortaggi, delicato, che accompagna ed esalta i piatti della ricca e variegata cucina molisana. La sua versatilità lo vede felicemente “sposato” con le zuppe di legumi, con le tante verdure, non disdegna le carni bianche ma si forza un po’ con le rosse, accoglie i latticini e i formaggi, meglio se freschi e si apre senza pregiudizi alla cucina di mare. Si nobilita con i sottoli ma si innalza su un podio ideale con una fetta di pane – meglio se di grano duro – con un pomodoro strusciato, sale, una spolverata di origano e un filo d’olio: nella semplicità l’essenza dei sapori mediterranei.

Birra ai rami di ulivo… perché dell’ulivo non si butta via niente

La Venafro Brewing Company è un microbirrificio artigianale nato nel 2019 per iniziativa di tre amici di lunga data, appassionati di birra e di homebrewing che, da sempre amanti delle Ipa, hanno voluto puntare anche sul territorio realizzando una ricetta di una Scotch Ale aromatizzata – in infusione – con rametti degli olivi provenienti dal Parco Regionale dell’Olivo di Venafro. Una birra molto alcolica, nata come una cotta casalinga, è piaciuta tanto, superando anche la prova in fiera; dopo vari aggiustamenti della ricetta e lavori sulle sfumature, è stata riproposta in birrificio, con il nome di Diomedea… sicuramente uno dei miei prossimi assaggi.

Stefania Raspa
Stefania Raspa

Le radici sono in Molise, ma la mia terra di adozione è l’Emilia. Sommelier AIS della delegazione di Bologna, ho conseguito anche il titolo di sommelier AIS della birra. Due lauree, la prima in Lingue e la seconda in Scienze della Comunicazione, seguono Master in International Development, in Commercio Estero e in Traduzione Audiovisiva. La mia formazione spazia dall’ambito enologico a quello birrario e ai distillati. Ho conseguito le certificazioni WSET Level 3 in Wines, WSET Level 2 in Spirits, WSET Level 2 in Beer e WSET Level 1 in Saké, ma credo che ci saranno ulteriori sviluppi. Sono impegnata attivamente nella vita associativa AIS, cercando di dare il mio contributo alle attività della delegazione. Scrivo sulle pagine di AIS Emilia e AIS Bologna, collaboro come aspirante giornalista con alcune testate giornalistiche. Faccio parte dell’Associazione Donne del Vino e Donne della Birra. Mi sono appassionata al mondo del vino per conoscere cosa c'è dentro e intorno al contenuto di un calice, ma soprattutto per scoprire cosa c'è dietro, il lavoro degli uomini ma anche il contributo della natura, le scelte aziendali così come il territorio, l'ambiente e i fattori che lo rendono unico. Il contatto umano con i produttori è per me un valore aggiunto, visitarli, ascoltarli e poi raccontarli è quello che cerco sempre di trasmettere e comunicare.

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