Una opportunità dal vino analcolico: l’Italia può vincere la scommessa NOLO?

Mentre il numero di consumatori di vino tradizionale diminuisce, l’industria vinicola italiana potrebbe trovare nuove opportunità nei vini analcolici e a basso tenore alcolico. Ma siamo pronti per questa rivoluzione? Partiamo da una riflessione di Sarah Brown.
All’ultimo Unified Wine & Grape Symposium, l’analista di mercato Danny Brager ha descritto il mercato delle bevande alcoliche come un “gioco a somma zero”, sottolineando la necessità di abbracciare nuove vie di crescita, tra cui i vini a basso contenuto alcolico e analcolici (spesso abbreviati in “NOLO”, da “No and Low Alcohol”). Un’analisi di Sarah Brown su Wine Business evidenzia come, nell’ultimo anno, le vendite di questi prodotti siano cresciute, mentre la maggior parte delle altre categorie ha subito cali.
Questa tendenza, guidata da un crescente interesse per la salute, il benessere e il consumo moderato, potrebbe rappresentare una boccata d’ossigeno per il settore vinicolo italiano, alle prese con un eccesso di offerta e un calo dei consumi tradizionali.
I numeri parlano chiaro (anche se siamo agli inizi)
I dati NIQ (ex-Nielsen) citati nell’articolo originale, relativi al mercato statunitense, mostrano una crescita del 27% delle vendite di vini analcolici nell’ultimo anno, raggiungendo quasi 90 milioni di dollari. Nello stesso periodo, le vendite di vino “tradizionale” sono diminuite del 7%. Sebbene il vino analcolico rappresenti ancora una piccola fetta del mercato (0,35% del volume totale), il potenziale di crescita è enorme. Brager stima che, se la categoria raggiungesse una quota di mercato del 2% (paragonabile a quella della birra analcolica), si potrebbero vendere 5,8 milioni di casse di vino in più all’anno.
Anche se mancano dati precisi e disaggregati per l’Italia, è ragionevole supporre che la tendenza sia simile, se non addirittura più accentuata. Il nostro Paese, infatti, è storicamente caratterizzato da un consumo di vino più legato al pasto e alla convivialità, e meno all’eccesso.
Sessionable: la parola d’ordine
Il concetto di bevande alcoliche “sessionable”, cioè adatte a un consumo prolungato e moderato, non è nuovo. Courtney Cochran, fondatrice di LoNo Wine Company, ricorda che già nel 2015, quando lavorava per Gallo, si sviluppavano opzioni a basso tenore alcolico. La pandemia, poi, ha accelerato il desiderio dei consumatori di bevande più “salutari”. “I dati sono chiari: i consumatori vogliono bevande in linea con i loro obiettivi di benessere”.
Non solo analcolico: il low alcohol come chiave di volta
Se il vino analcolico ha trainato la crescita nel 2024, gli esperti prevedono che in futuro i consumatori si orienteranno sempre più verso i vini a basso tenore alcolico (tra il 7% e il 10% ABV), che mantengono meglio il sapore e la familiarità del vino tradizionale.
Christine Mahaffy, di Republic National Distributing Company, fa notare un dettaglio importante: i vini a bassissimo tenore alcolico, a differenza di quelli tradizionali, sono tenuti per legge a riportare in etichetta tutte le informazioni nutrizionali. Questo obbligo, lungi dall’essere un peso, si trasforma in un vantaggio, perché risponde alla crescente richiesta di trasparenza da parte dei consumatori, soprattutto i più giovani.
Un sondaggio di Datassential del 2024 rivela una tendenza interessante: il 30% degli intervistati dichiara che consumerebbe bevande NOLO tutto l’anno, mentre il 56% le sceglierebbe specificamente per occasioni sociali che si svolgono nel pomeriggio o nella prima serata. Come spiega Mahaffy, questo dato riflette un cambiamento nelle abitudini di consumo: “Il ‘day drinking’, inteso come il consumo di bevande alcoliche tradizionali durante il giorno, sta perdendo popolarità, a favore di alternative più leggere e adatte a mantenere la lucidità.”
Un’opportunità per l’eccesso di offerta?
L’espansione del settore NOLO potrebbe offrire una soluzione, almeno parziale, al problema dell’eccesso di offerta che affligge anche il settore vinicolo italiano. “Quest’anno si parla sempre più spesso di espiantare vigne“, afferma Tracey Sweeney, fondatrice e CEO di Tomorrow Cellars. “Considero i vini analcolici un modo per espandere la produzione e creare prodotti che diano una casa a molta uva di buona qualità“. Una sfida importante, per il contesto italiano, sarà quella di convincere le aziende di minori dimensioni che il surplus di vino può essere riutilizzato.
Nuovi consumatori ?
Sebbene la maggior parte degli acquisti di NOLO sia effettuata da consumatori abituali di vino, Liz Thach, presidente del Wine Market Council (WMC), sottolinea il potere di reclutamento di questi prodotti tra i giovani. La Generazione Z, in particolare, considera la moderazione una forma di cura di sé. “È un ottimo modo per attrarre nuovi bevitori“, afferma Thach.
Un sondaggio di NCSolutions del dicembre 2024 rivela che il 49% degli americani intende bere meno alcol nel 2025. La priorità per questi giovani non sono tanto le conseguenze fisiche del bere, quanto l’impatto sulla salute mentale. Anche tra i bevitori più anziani, le motivazioni per la moderazione sono simili. “L’avvento del vino analcolico contribuisce ad ampliare la comunità del vino“, afferma Sweeney.
Nuove tecnologie, nuove opportunità, nuove sfide
La produzione di vini NOLO richiede tecniche di vinificazione specifiche e nuove tecnologie. La selezione delle uve privilegia varietà aromatiche e strutturate. La gestione pre-fermentativa utilizza tecniche come il flash détente. Per la fermentazione si scelgono lieviti che esaltino gli aromi. La de-alcolizzazione rappresenta la sfida più grande: preservare gli aromi volatili. Nuove tecnologie utilizzano un sistema di distillazione sottovuoto e un sistema proprietario di cattura degli aromi. Per la morbidezza, si compensa la perdita di corpo con tecniche come l’affinamento sulle fecce o l’aggiunta di bitter analcolici.
La qualità prima di tutto
Sweeney mette in guardia contro l’uso di vino sfuso economico: “Il rischio è che ci siano molte marche che immettono sul mercato vini di scarsa qualità“. I consumatori vogliono vini buoni, ma spesso non comprendono il processo produttivo e i costi. “Ci sarà una gamma di prezzi, dall’affare al lusso“, prevede Sweeney.
E in Italia? Le sfide specifiche
L’Italia, con la sua forte e secolare tradizione vinicola, si trova di fronte a sfide uniche, peculiari e complesse nell’abbracciare il mercato, pur promettente, dei vini NOLO. Queste sfide vanno ben oltre la semplice adozione di nuove tecnologie produttive e si radicano profondamente nel tessuto culturale, economico e normativo del Paese.
Resistenza culturale
La prima, e forse più radicata, sfida è la resistenza culturale e la percezione del vino come elemento “sacro”. In Italia, il vino non è semplicemente una bevanda alcolica: è un simbolo di convivialità, di tradizione familiare, di legame con il territorio e con la storia. È un prodotto che si tramanda di generazione in generazione, con tecniche di produzione consolidate e un forte senso di identità regionale. L’idea stessa di un vino “senza alcol”, privato di uno dei suoi elementi costitutivi fondamentali, può essere percepita da molti – non solo dai consumatori più tradizionalisti, ma anche da una parte significativa del settore produttivo – come un tradimento di questa tradizione, una sorta di snaturamento di un prodotto che ha una sua precisa identità e un suo valore culturale intrinseco.
Un settore frammentato
A questa resistenza culturale si aggiunge una sfida strutturale: la frammentazione del settore e la conseguente difficoltà di investimento. Il tessuto produttivo italiano, a differenza di quello di altri grandi paesi produttori come la Francia o gli Stati Uniti, è caratterizzato da una miriade di piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare. Queste realtà, pur rappresentando la ricchezza e la diversità del panorama vitivinicolo italiano, hanno spesso una limitata capacità di investimento in ricerca, sviluppo e nuove tecnologie. L’adozione delle tecniche di dealcolizzazione, che richiedono macchinari specifici, costosi e competenze altamente specializzate, potrebbe rappresentare un ostacolo insormontabile per molte di queste piccole cantine. Si creerebbe, quindi, un potenziale divario tra le grandi aziende, più strutturate e con maggiori risorse finanziarie, in grado di investire in innovazione, e i piccoli produttori, custodi della tradizione ma potenzialmente esclusi da questo nuovo mercato.
Dura lex sed lex
Un ulteriore elemento di complessità è rappresentato dalla normativa, ancora in fase di evoluzione e assestamento. Sebbene il decreto ministeriale del dicembre 2024 abbia finalmente legalizzato la produzione di vino analcolico in Italia, ponendo fine a un lungo periodo di incertezza e dibattiti, il quadro normativo presenta ancora delle zone d’ombra e delle limitazioni che potrebbero frenare lo sviluppo del settore. L’esclusione dei vini DOP/IGP (Denominazione di Origine Protetta e Indicazione Geografica Protetta) dalla possibilità di essere completamente dealcolizzati, ad esempio, è una restrizione significativa.
La questione della percezione
Infine, non va sottovalutata la percezione della qualità e il posizionamento di mercato di questi nuovi prodotti. I vini NOLO, in Italia, partono da una posizione di svantaggio, in quanto spesso associati, nell’immaginario collettivo, a prodotti di bassa qualità, artificiali, privi di carattere e personalità. Per superare questo pregiudizio, profondamente radicato, è necessario un impegno significativo in termini di comunicazione e marketing.
Mancanza di dati
A queste sfide si aggiunge anche la carenza, al momento, di dati specifici e aggiornati relativi esclusivamente al mercato italiano dei vini NOLO, il che rende più difficile per le aziende pianificare strategie e investimenti.
I vini analcolici e a basso tenore alcolico rappresentano un’opportunità interessante, ma anche una sfida complessa. Richiedono un cambio di mentalità, investimenti e un’attenta strategia. Se gestita con saggezza, questa tendenza potrebbe contribuire a rivitalizzare il settore.