Vigneto urbano a Venezia: il brolo dei Carmelitani Scalzi
Nel centro storico della Serenissima, sospeso tra pietra, acqua e storia millenaria, esiste un piccolo vigneto urbano che ci parla di spiritualità, biodiversità, memoria e rinascita: è il brolo dei Carmelitani Scalzi.

Venezia è sempre stata un mosaico di culture, scambi e profumi lontani. È noto come la sua storia abbia intrecciato quella del vino sulle rotte mercantili verso l’Oriente, sin dai tempi in cui la Malvasia approdava in laguna da Candia. Meno conosciuto è il fatto che anche la viticoltura urbana ha trovato casa dentro queste mura, nei giardini nascosti delle isole lagunari e perfino nei chiostri ombrosi.
Un esempio emblematico di vigna in città si trova appunto nel brolo – dal latino medievale broilus o broilum, che indicano un orto, giardino o frutteto delimitati da mura o siepi – del convento dei Carmelitani Scalzi, accanto alla chiesa di Santa Maria di Nazareth, nel sestiere di Cannaregio.

Dalle origini monastiche alla rinascita viticola
L’Ordine dei Carmelitani Scalzi si insedia a Venezia nel 1633, quando il patrizio Francesco Venier dona il terreno all’Ordine e il Senato accorda il beneplacito per edificare convento e chiesa. Fin dall’inizio, il brolo è destinato alla coltivazione di prodotti per la sussistenza del convento: ortaggi, erbe officinali, alberi da frutto e – ovviamente – viti, secondo la tradizione monastica mediterranea.
Nonostante le soppressioni religiose dei secoli successivi, il convento rimane attivo e il brolo mantiene la propria struttura originaria, sopravvivendo come parentesi verde nel tessuto della città. La svolta moderna arriva tra il 2010 e il 2014 grazie al Consorzio Vini Venezia che, con il supporto di CRA-Vit e delle Università di Padova e Milano, avvia un progetto di recupero della biodiversità viticola lagunare: nel vigneto urbano del brolo degli Scalzi vengono reimpiantate 23 varietà autoctone, molte delle quali dimenticate dai registri.

Tra queste, raboso piave, malvasia istriana, pinot, glera, friulano, cabernet e una particolare varietà detta terra promessa, introdotta da un frate nel 1940 al ritorno da una missione sul Monte Carmelo, nell’Alta Galilea in Israele.
La prima vendemmia, nel 2017, dà origine a due vini identitari per il luogo. Ad Mensam è un bianco ottenuto dal blend di oltre 20 varietà, con note floreali e aromatiche su fondo sapido e salmastro, equilibrato da una freschezza agrumata. Prandium è invece un rosso ottenuto da uve raboso, cabernet, pinot e altre varietà autoctone, con tonalità rubino brillante, sentori di piccoli frutti rossi, note vegetali e un tannino vivo ma elegante.

Camminando nel Giardino Mistico
Il vigneto si trova all’interno di un orto spirituale, il Giardino Mistico. Oggi visitabile su prenotazione e itinerario perfetto per chi cerca un’esperienza enoturistica aperta a più stimoli differenti, è articolato in un percorso di sette aiuole, ciascuna con un significato simbolico.

La passeggiata inizia con il prato, luogo della conversazione e del gioco. Il successivo orto delle erbe officinali esprime la purificazione del corpo; è qui che si coltiva la melissa per produrre la rinomata Acqua di Melissa, specialità farmaceutica dei frati veneziani dal 1710 menzionata anche ne La locandiera di Goldoni. Procedento verso l’orto alimentare, la terza tappa e allegoria della Trinità, troviamo ortaggi e verdure, mentre nel successivo vigneto abbiamo sette filari a simboleggiare i sacramenti e dieci per i comandamenti. Il frutteto, quinta tappa, è un invito alla generosità, l’orto degli ulivi all’amicizia e al ricordo del Getsemani, dove inizia la Passione di Cristo. Infine, la settima aiuola è un bosco i cui grandi alberi rappresentano il caos e lo smarrimento dell’anima lontano da Dio.
Al centro del Giardino, un albero di melograno richiama l’amore sponsale descritto nel Cantico dei Cantici ed è emblema di fecondità spirituale, dell’unità della Chiesa, di resurrezione e di vita eterna.

Biodiversità, resilienza e memoria
Il vigneto urbano del brolo non è solo una curiosità botanica o una suggestione estetica. È un ecosistema resiliente, un polmone verde tra le calli che porta avanti un dialogo tangibile tra la spiritualità e la cura della terra. Qui la vite convive con altre piante ed erbe in un microcosmo di biodiversità e fronteggia diverse sfide: l’esposizione al salmastro e l’umidità lagunare, la scarsità di suolo profondo, gli incessanti flussi turistici. Eppure, resiste, si armonizza con il contesto e spicca come simbolo di identità e memoria.
Il brolo dei Carmelitani Scalzi s’inserisce nel crescente interesse per la viticoltura urbana, una tendenza che unisce la valorizzazione del territorio, la sostenibilità ambientale e la riscoperta delle tradizioni locali. Anche Venezia, che già nel catasto napoleonico contava oltre 300 ettari vitati, torna a curare la propria vocazione agricola in questo e altri vigneti come quelli di Mazzorbo, Sant’Erasmo e Torcello.

Una vigna che educa e ispira
Il vigneto del brolo è un ponte tra generazioni e saperi. È un invito alla contemplazione, alla conoscenza di un patrimonio culturale immateriale che rischiava di andare perduto. Per il sommelier è un viaggio nella biodiversità varietale e un’occasione per entrare in contatto con varietà poco note e scoprirne il potenziale in progetti di recupero ampelografico. Per l’enoturista, è un luogo dove il tempo rallenta, dove la vite si presenta nel proprio ruolo di memoria viva. Per entrambi, è un’esperienza che coniuga cultura, gusto e riflessione, in pieno spirito AIS.

Questo piccolo vigneto urbano ci regala una pausa dalla quotidianità e ci porta a rallentare. Ci ricorda che il vino – come la vite che lo genera – è narrazione e che anche nel centro storico di Venezia, tra maree di delicate complessità, può germogliare una promessa fatta di tralci e grappoli.

Redazione AIS Veneto