Vini e misteri di Castel del Monte
Ottobre 1241, i monaci del priorato di Saint-Vivant in Borgogna iniziano la delimitazione delle parcelle da cui nascerà, tra gli altri, il futuro vigneto Romanée-Conti. È uno dei momenti chiave per la storia della viticoltura di Francia. Poco più di un anno prima, nel gennaio del 1240, sei gradi di latitudine e 1500 chilometri più a sud, accade un altro episodio fondamentale, questa volta per una delle regioni più rappresentative della meditarreaneità della penisola italica, vale a dire la Puglia: Federico II di Svevia, Imperatore per 30 anni (1220-1250) del Sacro Romano Impero, da Gubbio scrive a un suo funzionario in Capitanata (l’attuale provincia di Foggia) per ordinare l’edificazione di Castel del Monte, il maniero che sette secoli e mezzo dopo finirà sulla moneta italiana da 1 centesimo di euro.
Luogo di scienza e cultura
La scelta del parallelismo tra due eventi così cronologicamente vicini ma così geograficamente distanti è data dal fatto che entrambi, con le ovvie dovute proporzioni, rappresentano un simbolo della viticoltura dei rispettivi luoghi. Certo, in Borgogna siamo al livello del mito. In Puglia, Castel del Monte dà invece il nome a tre delle quattro DOCG della regione e a una DOC. E ha nel suo vitigno simbolo, il nero di Troia, un attore che agli occhi del grande pubblico sembra quasi soffrire di un certo complesso di inferiorità nei confronti dei più noti “fratelli” primitivo e negroamaro ma che, come qualunque conoscitore appassionato potrà confermare, brilla per eleganza, struttura, longevità e anche duttilità. Quasi un mistero come ciò possa essere possibile. Che sembra proprio voler richiamare i tanti misteri che ancora aleggiano attorno al monumento, realizzato in pietra locale, marmi e breccia corallina, che dal 1996 è patrimonio mondiale Unesco e che in un primo momento si credeva fosse stato costruito per ragioni militari e difensive, ma che in realtà fu voluto da Federico II come luogo di scienza e cultura. Nel nome di quello stupor mundi, la meraviglia del mondo, che fu uno dei tanti appellativi associati all’Imperatore.
Quattro aziende storiche
Ecco allora l’dea per il tema di questo viaggio: vini e misteri di Castel del Monte, attraverso la lente d’ingrandimento di quattro storiche aziende che con Federico Ruggero di Hohenstaufen hanno più di un fattore in comune e che sembrano circondare l’altura su cui, a 540 metri, sorge il maniero. Posizione ovviamente strategica: domina a nord l’intera pianura che degrada verso l’Adriatico, mentre a sud sorveglia l’attuale Parco dell’Alta Murgia. Simboli di una terra di rossi, quella del nord della Murgia pugliese, grande altopiano carsico caratterizzato da suoli calcarei (con sedimenti marini nella parte più bassa, rocce affioranti nell’entroterra) e notevoli escursioni termiche. Rossi come i vini del Castel del Monte Nero di Troia (che d’ora in poi chiameremo rispettivamente CdM e NdT) Riserva DOCG, ma anche del CdM Rosso Riserva (con un saldo, per un massimo del 35 per cento, di altri vitigni, soprattutto aglianico e montepulciano). Ma anche di rosati, come nel CdM Bombino Nero DOCG, prodotto con l’omonima uva a bacca nera. Anche in questo caso, una chicca in una terra che in quanto a rosati è nota soprattutto per quelli salentini da negroamaro.
Rivera
Il cammino di avvicinamento al castello parte dall’azienda più lontana (si fa per dire, visto che è visibile sin dai cavalcavia dell’Autostrada A14 dai quali appare come un mattoncino Lego). A una manciata di chilometri da Andria, che prima dell’istituzione della BAT era il Comune non capoluogo più grande d’Italia con poco meno di 100.000 abitanti, sorge una delle cantine che hanno scritto la storia del vino pugliese. Il primo collegamento con Federico II è già nel nome: Rivera era infatti una nobile famiglia abruzzese il cui capostipite fu un capitano dell’Imperatore dal quale ricevette in dono la tenuta che nel 1921 venne acquistata da un altro capostipite, Giuseppe De Corato.
Si inaugura in quell’anno un cammino che nel 1950 vedrà la Rivera, con Sebastiano De Corato, figlio di Giuseppe, iniziare a imbottigliare il proprio vino invece che spedirlo sfuso al Nord Italia (minimo comun denominatore, questo, di quasi tutte le cantine pugliesi con almeno 50 anni di storia). Nasce così il Rosso Stravecchio della Casa, un blend di nero di Troia e altre varietà a bacca nera che nel 1971, anno di istituzione della DOC Castel del Monte, diventerà Il Falcone (14 mesi in botte), etichetta che si richiama alla passione per la caccia con il falco di Federico II. Il cui soprannome, Puer Apuliae – fanciullo di Puglia, verrà scelto, a partire dal 1997 (con l’allora enologo Leonardo Palumbo, oggi lavoro affidato ad Angelo Mauriello), per quello che è attualmente il prodotto di punta, un CdM NdT Riserva DOCG (14 mesi in barrique, così chiamato dal 2011, anno di istituzione delle tre denominazioni) che colpisce per struttura ed eleganza, profondità e longevità. Nasce da un vigneto impiantato su un terreno spietrato che in passato era attraversato dalla transumanza delle greggi che venivano e andavano dall’Abruzzo.
Ci accoglie per un tour in cantina Sebastiano De Corato, quarta generazione della famiglia, che con garbo e passione racconta storia e aneddoti, mostra vecchie foto e bottiglie annata 1950 (più una “prova” 1949) che svelano ancora vitalità nelle verticali organizzate per occasioni speciali. E presenta i nuovi arrivati in azienda, due spumanti metodo classico da bombino bianco e bombino nero, e poi Fabri, rosato da nero di Troia alla seconda annata, dedicato alla memoria del fratello Fabrizio improvvisamente scomparso tre anni fa.
Giancarlo Ceci
Da un Imperatore a un’altra famiglia nobile, da un luogo medievale a un altro. Dieci minuti d’automobile in direzione est-sud est e si giunge da Giancarlo Ceci Agrinatura. Sempre in territorio di Andria, è il luogo dei due volti: da una parte una azienda che era già moderna quando venne fondata nel 1988, anno della laurea del suo attuale proprietario (ottava generazione) da sempre seguito dall’enologo Lorenzo Landi. Dall’altra la tenuta Sant’Agostino, così battezzata dai monaci dell’omonimo ordine che la acquisirono nel 1523 ma che venne costruita nell’anno 1000 dall’Ordine dei Cavalieri Teutonici che la utilizzavano come luogo di raccolta e preghiera prima di partire per le crociate. È della famiglia Ceci dal 1819, quando Consalvo la acquistò per aggiungerla ai già numerosi possedimenti che risalgono alla fine del Seicento.
Giancarlo ha portamento nobiliare ma non altezzoso, racconta con orgoglio le radici della sua famiglia e con trasporto il lavoro del vignaiolo. Sorride nel ricordare l’amore per la natura nato sin da piccolo, quando giocava nel bosco della tenuta, una delle oasi boschive oggi sopravvissute di quella che fu l’enorme foresta che nel 1200 circondava Castel del Monte. Quasi si rabbuia, ma solo per un attimo, quando parla del nero di Troia (Felice Ceci Riserva, 14 mesi in tonneau, la sua etichetta di punta che spicca tra rossi, rosati e un fiano – Clara, dedicato a sua figlia – di grande personalità), definendolo molto importante per il panorama enologico nazionale ma ancora molto poco conosciuto, benché sia espressione di complessità ed eleganza che devono soltanto essere scoperte.
Santa Lucia
Proseguendo lungo la medesima rotta si entra in territorio di Corato, ultimo centro della provincia di Bari (47.000 abitanti) che con Andria condivide l’areale più prossimo al castello. Tutti conosciamo il concetto di rapporto qualità/prezzo, ma se esistesse un rapporto qualità/numero di etichette l’azienda Agricola Santa Lucia sarebbe in cima a una ideale classifica. Situata poco fuori il centro cittadino in una contrada che prende il nome dalla santa protettrice della vista, ha una storia che risale al 1822, quando i Perrone, originari di Trani, la acquisirono prima di trasferirsi a Napoli dove iniziò una lunga tradizione di giuristi e dove una adozione di un Capano portò all’attuale doppio cognome.
Quando si conosce il proprietario Roberto Perrone Capano viene subito in mente il suo concittadino partenopeo Luciano De Crescenzo, il quale diceva che il guaio degli uomini è che cercano un modo per allungare la vita, quando invece dovrebbero allargarla. Lui la sua l’ha allargata eccome: oltre alla professione di commercialista, è stato velista, membro della squadra azzurra alle Olimpiadi di Seoul, è produttore di vino e da pochi mesi è anche sommelier AIS.
Qui tutto ha una storia, anche le pietre. Letteralmente. I muretti a secco che circondano la piccola azienda vennero edificati da un muratore come gesto di ringraziamento nei confronti del bisnonno di Roberto, magistrato, che decise di riaprire un caso di furto facendo scagionare il poveretto che era stato ingiustamente arrestato. Il nonno fece da mediatore tra i contadini e i padroni durante le rivolte del 1922. Il padre aveva un ufficio la cui porta era sempre aperta. Roberto Perrone Capano, con la sua enologa Emilia Tartaglione (anche lei campana), oggi si fa conoscere per vini i cui nomi a tema vegetale sembrano richiamare le decorazioni delle chiavi di volta delle stanze del piano superiore di Castel del Monte. Fior di Ribes è il CdM Bombino Nero DOCG, Melograno è il CdM rosso DOC, Le More è il CdM NdT Riserva DOCG (un anno in barrique più uno in bottiglia). Una perla, quest’ultimo, che nasce dal vigneto di tre ettari chiamato Castigliola, un vero e proprio cru, benedetto da una umidità di suolo maggiore rispetto al circondario che nelle ormai sempre più aride estati assicura sollievo alle piante.
Torrevento
Il viaggio a questo punto devia a sud. Dove le strade sono tutte in salita, dove il panorama si fa più brullo. Il castello è ormai facilmente visibile, così come gli alti pini che lo circondano. I luoghi hanno nomi che sembrano usciti dai romanzi di J.R.R. Tolkien o di George R. Martin: Torre di Nebbia, Torre Disperata, Torre di Vento. Eccolo Torrevento, il nome dell’azienda nata nel 1948 quando Francesco Liantonio, dopo essere partito nel 1913 da Palo del Colle alla volta di New York, torna in Puglia e con i proventi di anni di lavoro in una fabbrica di ghiaccio apre un commercio di vino e olio. La svolta tre anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: viene acquisito un vecchio monastero che oggi è la bottaia di un gigante da 2,5 milioni di bottiglie all’anno che ha produzioni anche nelle DOC Primitivo di Manduria e Salice Salentino e che è guidato da un altro Francesco Liantonio, anche presidente del Consorzio di Tutela dei Vini di Castel del Monte.
Ci raccontano ogni sfumatura dell’azienda la sua socia Alessandra Tedone e Leonardo Palumbo (chi si rivede!), ormai decano degli enologi pugliesi. La carta vini è ampissima, in gran parte dedicata all’estero. Ma anche qui i vini simbolo sono da nero di Troia. Il primo è storico: si chiama Vigna Pedale (CdM Rosso Riserva DOCG), nel 1993 fu il primo nero di Troia in purezza a essere imbottigliato in Puglia. È a tutti gli effetti un documento scientifico, visto che in 30 anni la sua lavorazione è mutata più volte (nato solo in acciaio, oggi fa anche 12 mesi di botte grande) e dalle bottiglie ancora conservate se ne può apprezzare la longevità. Il secondo vino è un chiaro richiamo all’architettura del monumento. Si chiama Ottagono, è un CdM NdT Riserva DOCG (cemento 8 mesi più 12 di botte grande), nasce da uve allevate nella vigna (480 metri) in assoluto più vicina al castello e al castello si ispira. In particolare, al numero 8. Otto come le torri, come i lati, come le stanze per ciascun piano, come il numero di gradini per torre che è 44 (4+4…). E se poi il numero 8 lo si ruota di 90 gradi ecco che viene fuori il simbolo dell’infinito.
Infinite sono le ispirazioni che trasudano da un luogo magico come Castel del Monte. Ancora avvolta dal mistero è parte della sua storia. Storia, matematica, geometria. E poi enologia. Anche lei una delle tante passioni di Federico II, che amava soprattutto i vini campani. E che quasi otto secoli dopo ispira i produttori pugliesi che condividono oggi la stessa terra che venne calcata dagli stivali dello stupor mundi.