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Lifestyle
16/06/2024
Di Redazione AIS

Vini senza confini: la nuova onda dall’Europa Centrale e Orientale

L’articolo di Gabriel Stone descrive il crescente interesse del mercato britannico per i vini dell’Europa Centrale e Orientale. Importatori, sia storici che specializzati, intercettano una nuova generazione di bevitori che non ragiona più secondo le logiche delle denominazioni. Produttori da Ungheria, Romania e Repubblica Ceca dimostrano di poter offrire non solo varietà autoctone uniche, ma anche interpretazioni di uve internazionali competitive. Queste regioni, definite ‘l’ultima parte inesplorata del mondo del vino’, uniscono radici storiche profonde a uno spirito innovativo e libero.

Una carta dei vini, per essere di successo, deve sapersi evolvere senza snaturarsi. In un mercato globale saturo di nomi noti, molti buyer e importatori stanno trovando una soluzione guardando a Est, in quel mosaico di regioni vinicole dell’Europa Centrale e Orientale che per decenni è rimasto ai margini delle grandi rotte commerciali.

Questa scelta rappresenta una piccola rivoluzione, soprattutto per operatori storici come il noto importatore britannico Howard Ripley, un nome costruito su decenni di fedeltà ai grandi classici di Borgogna, Germania e Piemonte. L’azienda ha recentemente ampliato il proprio portafoglio includendo vini da Croazia, Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca, una mossa che, come ammette il responsabile vendite Ziggy Grinbergs, poteva sembrare “una diluizione del nostro marchio”.

Il motivo di questa deviazione? “Ci siamo resi conto che nei wine bar più all’avanguardia di Londra, come quelli dell’East End, regna uno spirito più libero”, spiega Grinbergs. “Ci rivolgiamo a una generazione di bevitori più giovani, con orizzonti più aperti, che la nostra selezione classica non riusciva a intercettare”. Grinbergs, tuttavia, sottolinea come questa apertura non rappresenti una rottura, ma un completamento, poiché il filo conduttore resta lo stesso: “Ci concentriamo sempre su un approccio artigianale, a basso intervento, su piccoli produttori e sulla fedeltà al carattere di vitigni autoctoni o presenti sul territorio da centinaia di anni”.

Questa visione è il cuore dell’attività di Basket Press Wines, importatore fondato nel 2017 dal ceco Jirí Majerik e da sua moglie Zainab, con un focus totale su queste regioni. La loro scommessa si basa su un’intuizione precisa: “Esiste una nuova generazione di consumatori che non ragiona più secondo le logiche della denominazione”, afferma Majerik. Nel mondo del vino naturale, aggiunge, “provenire da un luogo insolito può addirittura trasformarsi in un vantaggio”.

Majerik porta come esempio la sua Moravia, principale regione vinicola della Repubblica Ceca, situata appena oltre il confine con il Weinviertel austriaco. “Non è una regione classica in senso francese; è più libera. Anche la cantina più piccola può lavorare, diciamo, con dieci vitigni diversi, creando una gamma di stili incredibile”. Emblema di questa libertà è il Ryšák, un vino “color zenzero” nato come field blend (uvaggio di campo) dalla co-fermentazione di uve bianche e rosse. “Le regole sfumano”, spiega, “può essere qualsiasi proporzione, qualsiasi uva. Molti sono metà e metà, e spesso sono i più interessanti, a metà tra rosso, bianco e orange. È una categoria fluidissima, molto emozionante”.

Sarebbe un errore, però, etichettare questi vini come un fenomeno di nicchia. “Il pinot noir è in Moravia dal XIV secolo”, osserva Majerik, “ed è uno dei nostri lasciapassare per le carte dei ristoranti più classici. Sul rapporto qualità-prezzo, un buon pinot noir moravo può competere seriamente con la Borgogna”.

Il filo rosso che unisce molte di queste aree dell’ex Impero Austro-Ungarico è il blaufränkisch (noto localmente come kékfrankos o frankovka modrá). In Ungheria, nella regione meridionale di Szekszárd, il pioniere Zoltán Heimann sta scardinando lo stereotipo dei rossi ungheresi potenti, producendo kékfrankos e kadarka di grande finezza, grazie a vinificazioni con lieviti indigeni, fermentazioni a grappolo intero e maturazioni in anfora o botti grandi. “Il mio obiettivo”, spiega, “è enfatizzare il carattere aromatico vibrante e fruttato del kadarka e del kékfrankos”. La sua strategia commerciale è chiara: si rivolge ai “clienti curiosi e aperti a nuove esperienze”, piuttosto che ai “bevitori tradizionali, che vedono i terroir sconosciuti con una certa diffidenza”.

Nella vicina Romania, l’azienda Cramele Recaș, guidata dal comproprietario inglese Philip Cox, sta trainando l’export. Il successo è arrivato puntando sia su uve internazionali a prezzi competitivi, sia su varietà locali come la fetească regală. “Una volta che i clienti trovano il coraggio di provarla, i consumatori la apprezzano moltissimo”, afferma Cox. L’azienda ha recentemente investito oltre 11 milioni di euro per espandere la produzione fino a 50 milioni di bottiglie l’anno, puntando con decisione anche sugli spumanti. Una delle prime novità è un Metodo Tradizionale da fetească regală, affinato 24 mesi sui lieviti. “Lo spumante è una delle poche aree del settore vinicolo che presenta una qualche crescita”, conferma Cox, che pianifica anche la produzione di vini con metodo Charmat a partire dal 2027. Nonostante ciò, ammette la difficoltà nel posizionare i vini premium del suo paese: “I buyer sono estremamente restii a provare vini a prezzi più alti. Sotto questo aspetto, il Regno Unito è meno performante di altri mercati come Giappone, Corea del Sud e Germania, dove riusciamo a vendere vini di fascia molto più alta”.

Questa percezione è condivisa da James Tanner, alla guida di uno storico mercante di Shrewsbury, che preferisce definire questi paesi “Europa del Nord”, notando come la loro latitudine, simile a quella di Piemonte e Beaujolais, favorisca stili freschi e raffinati. “Romania e Moldavia”, spiega, “sono ottime fonti di vini da uve internazionali per la ristorazione, quelle che il consumatore medio ricorda senza chiedere da dove vengano”. Al contrario, aggiunge, “i vitigni autoctoni sono perfetti per le degustazioni e i clienti avventurosi, ma richiedono un racconto, una vendita quasi personale”.

Il crescente interesse per questa parte d’Europa è culminato nella nascita della Ultimate Central & Eastern European Wine Fair, una grande fiera di settore a Londra. L’organizzatrice, la Master of Wine Caroline Gilby, spiega di voler “creare un vero e proprio ‘splash’ e fare rumore sulla completa rivoluzione qualitativa in atto”. Per Gilby, questi paesi rappresentano “l’ultima parte inesplorata del mondo del vino, dove i buyer possono trovare storie nuove ed entusiasmanti, costruite però su radici vinicole profonde e autentiche”.

È proprio questo mix di storia e innovazione che sta permettendo a questi vini di farsi strada. Mentre Howard Ripley si prepara ad aggiungere un produttore polacco, Grinbergs continua a tenere gli occhi aperti. “Dopotutto”, conclude, citando le profonde radici viticole di Nitra in Slovacchia e della Moravia, “nemmeno Chablis e Bordeaux sono nate dal nulla. Forse è semplicemente arrivato il momento per un nuovo classico”.

Redazione AIS
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