Vita e opinioni del pignolo, vitigno del Nordest
Il pignolo è un vitigno tipico del Friuli Venezia Giulia, e ha trovato il suo habitat ideale sulle colline orientali di Rosazzo, Buttrio e Rocca Bernarda. In gioventù presenta un colore rosso rubino denso e cupo, profumi di frutti di bosco, cassis e amarena; ottima l’acidità (merce sempre più rara) e una certa spigolosità tannica può essere arrotondata dall’evoluzione in legno, che lo rende più morbido ed elegante, oltre che ricco di spezie dolci, frutta secca e in confettura, cacao e caffè, incenso e sottobosco. Nonostante le potenzialità, il pignolo ha seriamente rischiato l’estinzione, e solo di recente è diventato oggetto di un recupero che ne ha esteso la distribuzione fino agli attuali 80 ettari. Il rendimento, piuttosto basso, la maturità tardiva (le piante producono i grappoli migliori non prima di una quindicina d’anni), l’acidità accentuata furono le ragioni principali del suo abbandono. Fu Walter Filiputti, prima da solo e poi insieme alla famiglia Zamò (entrambi nomi noti dell’enologia friulana), a salvare gli ultimi due esemplari, coltivati nei terreni dell’abbazia di Rosazzo, nel 1979.
Il pignolo è tornato di moda, per le sue sbalorditive capacità di evoluzione. Curiosi? Orientatevi con la nostra app di Vitae (disponibile per Android e iPhone): nell’edizione 2023 ci sono 15 etichette tra cui scegliere.
Svanito nuovamente l’interesse, alle fila dei sostenitori si unirono Michele Moschioni e Girolamo Dorigo, che negli anni Novanta trovarono nella surmaturazione una chiave per addomesticare la tempra del vitigno, salvo poi prenderne le distanze con l’evoluzione del clima. Altri produttori (Paolo Rodaro, Castello Santanna, Tunella e Collavini) hanno seguito strade diverse. Gravner e Radikon, ancora, omaggiano l’estrema longevità del pignolo con bottiglie rilasciate sul mercato solo dopo molti anni (sono oggi in vendita, rispettivamente, la 2007 e la 2010). Altro produttori meritevoli di citazione sono Adriano Gigante, Fulvio Bressan, Borgo San Daniele e Ronchi di Cialla. Sebbene ciascuno di loro, in linea generale, non possegga che un ettaro o giù di lì, l’interesse per questo peculiare vitigno è sempre più in crescita, come spiega Simon J. Woolf in un lungo e interessante approfondimento.