Viticoltori Māori: un legame profondo con la terra che va oltre il vino naturale
In Aotearoa Nuova Zelanda, i principi dell’agricoltura Māori – che precedono e vanno oltre la biodinamica – sono alla base di alcuni dei vini più entusiasmanti del paese. Lo scrive Hillary Eaton su Punch.
Camminare su una terra ancestrale è ciò che fanno Luke e Vanessa Reynolds quando attraversano i filari del loro vigneto Tūāpae, sull’isola di Waiheke. Vanessa, come molti Māori, usa il nome della sua iwi (tribù) e hapū (sottotribù) per mostrare l’orgoglio e la connessione con i suoi antenati. Un legame profondo con questa terra che risale a ben prima delle grandi migrazioni waka del 1300.
Nonostante questo legame millenario, i Māori sono stati storicamente poco presenti nella viticoltura neozelandese, un’industria dominata da persone di discendenza europea. Oggi, però, alcuni dei vini più influenti della regione sono prodotti da un numero crescente di viticoltori Māori, impegnati a decolonizzare il settore integrando metodi e ideologie agricole Māori.
Matua Murupaenga e Imogen Weir, ad esempio, hanno fondato Tawhiti, un’azienda vinicola che incarna la visione Māori del futuro del vino in Nuova Zelanda. Per loro, la vinificazione naturale e l’agricoltura biodinamica sono in linea con il concetto di kaitiakitanga, la tutela della terra per le generazioni future.
Royce McKean, di Tiki Wine & Vineyards, utilizza compost urbano proveniente da famiglie Māori per arricchire il suolo e ridurre gli sprechi alimentari. A Tūāpae, si adottano pratiche agricole che garantiscono che solo rifiuti organici finiscano nei corsi d’acqua, rispettando il principio Māori del ki uta ki tai, che segue il percorso dell’acqua dal cielo al mare.
Haysley MacDonald, di te Pa winery, sottolinea l’importanza del concetto di tūrangawaewae, il luogo in cui ci si sente a casa e connessi. Questo si riflette sia nei suoi vini che nella gestione della terra, che va oltre gli standard di sostenibilità con pratiche come la diffusione delle vinacce e il pascolo delle pecore in inverno.
I viticoltori Māori sono anche attenti al linguaggio utilizzato per promuovere i loro vini. Vanessa Reynolds, ad esempio, evita il termine “vino di proprietà” perché non riflette la visione del mondo Māori. L’uso del te reo Māori, la lingua originale della terra, è un atto di rivendicazione culturale, soprattutto in un momento in cui la lingua sta vivendo una rinascita in Nuova Zelanda.
Jannine Rickards, di Huntress Wines, ha riscoperto la sua eredità Māori in età adulta, abbracciando i tikanga (conoscenze e protocolli tradizionali). Questo l’ha portata ad adottare metodi di agricoltura biologica e a produrre vini che riflettono la sua identità ritrovata.
La viticoltura Māori rappresenta un movimento che va oltre la semplice produzione di vino naturale. È un ritorno alle radici, un modo per esprimere l’identità e la connessione con la terra, creando vini unici che raccontano una storia profonda e antica.