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Spirits e non solo
30/09/2025
Di Serena Leo

Grappa, il distillato antico simbolo dell’Italia nel mondo

“Non è il prodotto che desideri, ma se lo assaggi ti accorgi che è buonissimo”. Così Bruno Pilzer, istrionico produttore di grappa in Trentino, la definisce in assoluto. Su questa affermazione ci si potrebbe costruire un vero e proprio castello in cui la storia di commercio sottobanco, dazi antichi, profumi alcolici e vinacce, cancellano ogni sforzo a favore di un gusto 100% made in Italy.
La grappa oggi, riscuote ancora attenzione a discapito di altri distillati e liquori. Sarà per il suo fascino non del tutto espresso o perché sta diventando protagonista anche in altri momenti che esulano dal tradizionale fine pasto. Il punto però, è farsi conoscere per ciò che davvero è, per ciò che ha rappresentato e rappresenta per le comunità che la producono. Dall’Istituto di Tutela Grappa Trentina con Alessandro Marzadro e Bruno Pilzer, il punto di vista sul distillato che dice la sua nel mondo degli alcolici senza scendere a compromessi sulla sua essenza.

Dal “lambicar” al savoir faire moderno

La grappa è un distillato antico di cui si hanno tracce sin dal 1500. Ricavata dalla distillazione della vinaccia – residuo finale della vinificazione – è un alcol profumatissimo che può subire processi di affinamento in contenitori di legno oppure essere commercializzata direttamente. La si definirebbe una sorta di alchimia a basso prezzo, uno stigma che ha dato per secoli l’etichetta di prodotto povero ricavato dagli scarti del vino. Ma è molto di più.
Originariamente considerata un distillato rinfrancante e riscaldante, veniva utilizzato per affrontare i freddi inverni alpini. Era un simbolo di casa poiché tutti ne producevano un po’ per l’autoconsumo o per una vendita di prossimità poiché se ne potevano produrre solo 4 litri per famiglia. In poche parole, tutti sapevano “lambicar”. Fu protagonista anche dei combattimenti della Grande Guerra per rinsaldare il legame con i ricordi di famiglia, così com’era un prodotto da custodire durante i viaggi della speranza verso terre di lavoro più fortunate.
Nella fine dell’impero austroungarico anche la grappa ci andò di mezzo, diventando un prodotto a cui dare la caccia poiché distillare era soggetto ad accise statali che, fino a quel momento, non erano mai state pagate poiché il regno non lo prevedeva. Si iniziò, quindi, a cercare tutti coloro che la vendevano per non morire di fame, soprattutto nelle valli più povere del Trentino, territorio in cui si concentra ancora oggi la maggior parte della produzione del distillato.

“Leggendo le storie legate alla grappa è come leggere la storia delle tasse italiane in cui c’è sempre stato il controllore e il controllato. È un distillato che fa parte della cultura montanara, ma la si dimentica facilmente poiché non si rende moderna agli occhi del consumatore, pur preservando la sua complessità e gentilezza”. Bruno Pilzer la definisce così per tradizione, ma non ferma la grappa in un universo temporale parallelo a quello che viviamo, piuttosto aiuta a vedere con maggiore chiarezza come evolvere il punto di vista. “La sfida è trasmettere questa gentilezza al mondo. Non si tratta più della grappa degli alpini, ma è un prodotto affinato nella tecnica di produzione che genera maggiore qualità. Prima la grappa serviva come energetico, corroborante, ora non più. Ci siamo accorti che la curiosità era immensa, quindi ci siamo limitati a parlare di storicità, di abbinamenti gastronomici dei nostri avi, di ciò che si è sempre fatto in montagna con la grappa. Ha funzionato a livello di curiosità”.
Dalla lotta al contrabbando si arriva così agli anni Sessanta, quando le grappe hanno iniziato a piacere anche fuori dalle valli, complice un primo e timido turismo di prossimità, ma anche delle prime commercializzazioni di prodotti dagli slogan più famosi. Le idee degli imprenditori dell’epoca e la voglia di fare sistema, ha portato a ripensare la grappa e a proiettarla verso un futuro consapevole in cui può diventare un simbolo culturale tutto italiano da bere. Così cinque distillerie trentine storiche come Bertagnolli, Segnana, Sebastiani, Pisoni e Bassetti, fondarono l’Istituto Tutela Grappa del Trentino con l’obiettivo di tutelare la qualità della produzione di grappa, difenderla e proiettarla nel nuovo mondo degli alcolici con la dignità che merita.
L’istituto vuole fare fronte comune in fase iniziale per affrontare il tema qualitativo della grappa. Oggi il processo non ha più problematiche in fatto di difetti produttivi, le sfide sono diverse e riguardano la comunicazione del prodotto al consumatore che cambia che sceglie di essere sempre più sobrio, afferma il presidente Alessandro Marzadro.

Bruno Pilzer

Vendere la grappa come un pezzo di cultura italiana

Intanto ecco un po’ di numeri che collocano la grappa nel panorama attuale. Il Trentino detiene il 10% della produzione nazionale ed è qui che si concentra il maggior numero di produttori. Ad apprezzarla sono i paesi di lingua tedesca, tant’è che l’export del prodotto corrisponde al 20% verso loro, mentre nel resto d’Europa si registrano numeri contenuti. “Il motivo del posizionamento sul mercato tedesco è legato al turismo di prossimità che scopre la provincia, prova le eccellenze enogastronomiche e vuole approfondire – afferma Marzadro – Il turista che si innamora della grappa è informato”.
Oltre la storia c’è sempre la sostanza e la grappa è un viatico culturale fatto per gli attenti fruitori delle valli montanare. Alessandro Marzadro conferma che fare cultura con la grappa si può, anzi si deve. “In un momento storico in cui la promozione di prodotti alcolici non è più semplice, bisogna parlare di distillati attraverso la storia che integra la cultura di un territorio. Raccontare le origini del prodotto e il processo produttivo è rendere il consumatore consapevole di ciò che consuma e dei valori che il prodotto porta con sé”. Le distillerie funzionanti in Trentino sono 26 e 24 attualmente associate all’istituto. Questi i numeri che rafforzano l’idea dell’ente, soprattutto se si aggiunge la diversità di impianti, vinacce utilizzate e metodi di distillazione.

“Oggi il consumatore appassionato può beneficiare di una proposta variegata in fatto di grappa. Il suo percorso di miglioramento è iniziato ben 50 anni fa perché si sa, una grappa non buona sul mercato danneggia tutti”. Così Marzadro racconta l’evoluzione del prodotto che vede continui panel di degustazione che mettono a confronto i prodotti degli associati rigorosamente alla cieca. “Solo così siamo in grado di evidenziare eventuali problemi e risolverli. È un modo di fare che ci ripaga nei feedback. Non perdiamo la tradizione, ma realizziamo un prodotto piacevole per il mercato”.

Alessandro Marzadro

Il mercato come vuole la grappa?

La grappa può essere imbottigliata appena terminato il processo di distillazione, oppure essere sottoposta a processo di invecchiamento, creando la cosiddetta grappa barricata. Di quest’ultima se ne richiede tanta a fine pasto, e numeri alla mano, secondo Marzadro è ancora il prodotto che tira. “La grappa invecchiata è servita a riavvicinare il consumatore al prodotto che così diventa più prezioso e morbido. Al momento c’è sofferenza per il monovitigno perché il consumatore può essere attratto da una varietà largamente utilizzata o preziosa, quindi mutuare questo concetto nella grappa stessa”.
A questo punto la memoria va subito alle nobili vinacce che compongono l’Amarone e non degli autoctoni regionali minori come il marzemino o il teroldego, benché quest’ultimo riesce a sviluppare grandi sentori anche sovrastando la parte alcolica. C’è un processo molto semplice che si innesca quando il consumatore sceglie la sua grappa per concludere il pasto o per acquistarla, afferma il presidente Marzadro. “Ragionando con la mentalità da vino ci si aspetta di ritrovare il gusto del vino anche nel distillato, cosa estremamente più difficile per i palati non allenati”. Ma in fin dei conti la grappa non è fatta solo per compiacere, ma per restare fedele alla sua identità in modo intelligente. “Ciò su cui si è agito fin dalla notte dei tempi dell’Istituto è la cura delle vinacce, ora più precisa, da lavorare in tempi brevi e con impianti maggiormente performanti. Avvalendoci dell’aiuto della Fondazione Mach nella ricerca abbiamo capito cosa accade nell’alambicco, quindi si è sperimentato e migliorato tutto ciò che nel processo produttivo non ha funzionato”.
Pilzer, che da circa 40 anni ha in mano la distilleria di famiglia, parla di un’evoluzione continua che rende anche i distillatori più “orsi” attenti alle innovazioni a servizio del distillatore. “L’evoluzione c’è anche negli impianti che oggi interagiscono con l’uomo, leggi l’intelligenza artificiale. Certo, bisogna sempre sapere come istruirla. C’è qualcosa di nascosto in questa buccia che diventa grappa che né io e né gli altri abbiamo ancora trovato e per questo cerchiamo ancora”.

La grappa si fa moderna. Cosa c’è nel futuro di questo distillato?

In tempi di crisi alcolica è bene tenere duro, ma farlo con consapevolezza. Secondo Marzadro è giusto presidiare il momento di consumo che cambia, quindi aperitivo e serate più leggere a base di cocktail. “Anche se la grappa è storicamente chiamata digestivo e parliamo del fine pasto, bisogna guardare al movimento della miscelazione molto rigido all’apparenza riguardo il limitato sull’utilizzo del distillato. Ora però, anche la grappa entra in questo mondo senza diventare un modo per svuotare i magazzini, ma è fondamentale perché è il punto di entrata dei consumatori del futuro, cioè i ragazzi. Si tratta di quella fascia ricettiva in fatto di informazioni su ciò che si mangia e beve”.
La grappa può essere considerata un simbolo italiano, lo affermano entrambi gli interpellati e il perché sta nella versatilità e nell’informazione che oggi i consumatori ricevono prima di scoprire un determinato luogo o prodotto. “C’è una tradizione lunghissima legata alla distillazione ed è del suo amico vino. È una storia bellissima, di tradizioni da una parte, di intelligenza del saper fare dall’altra. Uno prende un grappolo dell’uva e lo vende come frutta, oppure ci fa il vino. Poi qua con quello che rimane della lavorazione, quindi la buccia, ci tira fuori un distillato particolare e che si vende come prezioso”. Così Pilzer firma il suo punto di vista che vale anche per il futuro, ma senza ricadere nel discorso “comunicazione” che lascia ad altri.
Proprio Marzadro, volto dell’Istituto Tutela Grappa Trentina e ambasciatore del prodotto, ne rivendica la sua unicità nel panorama nazionale e se vogliamo, mondiale. “Non ce n’è un distillato uguale a questo. È uno dei pochi che non consuma suolo ma solo i residui del vino. È un antenato dello zero waste a tutti gli effetti. La complessità italiana passa anche da qui, ma anche dalla mano del distillatore che si arricchisce di competenze e del desiderio di produrre un distillato di qualità e non di recupero. La complessità italiana della grappa è un valore e si porta dentro il territorio”. E aggiungiamo, anche quella voglia di riscaldare l’anima un goccino alla volta.

Serena Leo
Serena Leo

Laureata in giurisprudenza, all’avvocatura ho scelto il vino che è diventato il mio lavoro a tutti gli effetti. Come giornalista freelance scrivo per diverse testate del mondo vitivinicolo, dedicandomi a svelarne gli aspetti più curiosi. Da pugliese Docg sono innamorata di questa terra che, molto spesso, ritorna tra le righe dei miei racconti online e su carta stampata. L’obiettivo però, resta sempre lo stesso: svelare cosa c’è in un calice di vino senza perdersi in troppi giri di parole.

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