Abruzzo in Bolla, le bollicine saranno il viatico per fare cultura sul vino
Da L’Aquila si guarda al panorama “frizzante” nazionale e anche al no alcol

Che di eventi sul vino ce ne siano tanti non è certo una novità, ma raggiungere i wine lovers sparsi per tutta l’Italia sembra essere davvero un’impresa ardua, a volte anche impossibile. Per questo si organizzano appuntamenti nei luoghi più disparati per fare squadra tra produttori, operatori e consumatori del luogo. Abruzzo in Bolla, alla sua terza edizione, nasce proprio per connettere tutte queste categorie e portarle in giro prima “in casa” poi guardando al panorama nazionale sempre più frizzante. Ed eccoci qui a L’Aquila, dal 21 al 23 giugno a celebrare la festa della spumantistica italiana.
“A te piace sognare”. Così Marco Signori, organizzatore della manifestazione aquilana apre la terza edizione dell’evento ricordando di aver pensato in grande quando nessuno ci credeva. “Siamo partiti solo da 12 aziende che ci hanno premiato con la loro presenza, oggi ne contiamo quasi 50 uscendo dai confini regionali. Abbiamo l’onore di avere una rappresentanza folta da tutta l’Italia che spumantizza”. Un evento che si fregia di aver coinvolto i ristoratori più attenti dell’Abruzzo che hanno avuto modo di entrare in connessione proprio con produttori piccoli e grandi. “Il mondo delle bollicine in Italia è in pieno fermento, tanto con l’utilizzo delle varietà internazionali tanto degli autoctoni”. Per questo dare uno spazio nel cuore della Capitale della Cultura 2026, è necessario, perché la cultura passa anche dal buon mangiare e bere.

Bollicine. Una moda o una tradizione?
Che le bollicine siano sempre più sui tavoli conviviali non è un mistero e il trend positivo ormai, accompagna la crescita del comparto frizzante targato made in Italy. Stappare una bolla è quasi uno status symbol, ma la condicio sine qua non è che siano bottiglie di alta qualità. A trainare il comparto è certamente il Prosecco, tanto in purezza quanto in mixology, di alta qualità e nell’accezione non solo charmat, ma anche metodo classico da uve glera. Su questa scia cresce il comparto di territori scoperti e riscoperti in cui la bolla acquista un significato più profondo.
Un po’ di numeri per farci un’idea. Solo nel 2024 le bollicine italiane hanno registrato quota un miliardo di bottiglie prodotte e commercializzate, rappresentando circa l’80% dell’imbottigliato (fonte UIV- ISMEA). E se fino a 20 anni fa il limite era solo il Po, oggi le bollicine nascono da quasi ogni parte d’Italia, registrando 70 denominazioni a origine controllata e 17 a origine controllata garantita. E nel 2025? Sicuramente il trend in ascesa dominerà ancora il mercato, anche al netto della paura dei dazi americani, e l’Italia si conferma la nuova patria dello spumante, senza dover invidiare a tutti i costi i cugini francesi.
Per alcuni si tratta solo di un completamento di gamma, mentre per altri un progetto che si sviluppa secondo un’idea precisa: spumantizzare l’autoctono regalando una sorpresa all’estimatore più curioso. Inoltre, parlare di bollicina genera quasi sempre una suggestione che va ben oltre il classico vino fermo, coinvolgendo anche i più lontani da questo mondo che si affidano al suono festoso dello stappo per scoprire nuove realtà e inevitabilmente, innamorarsene.

Le chicche della manifestazione
Abruzzo in Bolla riprende proprio il tema della scoperta e lo si fa partendo dal luogo in cui si è: l’Abruzzo. Una regione che si sta scrollando di dosso ancora l’ombra del vino a buon mercato, della vendita veloce a discapito di una qualità spesso sacrificata. Certo è che nel mare magnum del commercio selvaggio non sono mancati gli artisti che hanno puntato sul metodo classico prima di tutti gli altri, perché hanno creduto nel potenziale del territorio e, in particolare, della passerina e del forzuto trebbiano. Bene, quindi ecco come le prime 12 cantine si sono fatte vive per la prima edizione della manifestazione. Una scommessa che guarda alla conoscenza e a un evento focalizzato verso il consumatore.
Dal Piemonte alla Sicilia, attualmente la lingua delle bollicine è più che universale e l’hanno saputo dimostrare ad Abruzzo in Bolla due associazioni dedicate proprio agli spumanti. La prima è l’associazione Nebbione che ha messo insieme la visione del Nebbiolo senza mai tradire l’anima del rosso. L’idea nasce da Sergio Molino, cultore del vitigno oltre che enologo. La spumantizzazione avviene selezionando la punta di ogni grappolo dando vita a un metodo classico che riposa minimo 45 mesi sui lieviti. L’associazione ammette le accezioni blanc de noir, extra bru, brut, pas dosé.
Si arriva poi in Sicilia in cui l’Associazione Spumanti dell’Etna porta una storia lunga più di un secolo. Infatti, dal 1870 si narra che sia nato il primo metodo classico con vista vulcano. Lo chiamarono Champagne dell’Etna per la sua finezza, ma anche per la riconoscibilità del prodotto. Dopo una lunga interruzione si ritorna a parlare di spumante nel 1989 con Emanuele Scamacca, anni particolari per il vino italiano. È lui a ideare la bottiglia di metodo classico da nerello mascalese, tracciando un percorso che ha portato il Cavaliere Benanti poi, a puntare sul carricante. 30 aziende produttrici che coprono circa il 30% della produzione di bollicine isolane tra piccole e grandi cantine. Sotto il segno dell’Etna l’autoctono continua la sua rinascita.
Le riconferme arrivano anche da territori che sulla spumantistica hanno fatto all in da sempre, tra cui Puglia dalla Daunia al Salento, e l’Emilia Romagna con lavori di fino fatti su nero di Troia e bombino bianco, senza dimenticare le varietà a bacca bianca. Non è mancato il Lambrusco tradizionale e nobilitato con una lavorazione in metodo classico, l’ideale per cancellare la polverosa definizione di vino friendly, cioè quello da condividere senza pensieri. Il Prosecco, però, è e rimane il dominatore incontrastato del mondo della spumantistica e, anche in questa occasione, regala a un pubblico democratico la bollicina pop e di qualità.

Vino e sicurezza
Importanti i temi di quest’anno, tutti improntati sulla sicurezza che passa dal vino, dall’inasprimento delle sanzioni riguardo il nuovo codice della strada fino ai vini dealcolati. Temi legati a doppio filo tra loro che stanno alzando i toni della discussione sul futuro del vino italiano e inevitabilmente dividono l’opinione di esperti ed estimatori.
Si parte con il Talk moderato da Marcella Pace “Il vino alla prova del nuovo Codice della Strada e della crisi globale” con Nuccia De Angelis (Qualità Abruzzo), Nicola D’Auria (Movimento turismo vino), Angelo Radica (Città del Vino), Arianna Di Pietro (Avvocato diritto Vitivinicolo). Il Codice della Strada, tra la fine del 2024 e il 2025, ha messo alla prova diverse patenti dei wine lovers e non perché siano cambiate le regole di base, ma per l’inasprimento delle sanzioni che mettono il consumatore di vino sempre più in allerta quando deve andare al ristorante. Niente più bottiglie di vino a cuor leggero sul tavolo, ma un calice se necessario, oppure acqua minerale a tutto spiano. Situazioni che hanno messo in allarme i ristoratori già oberati dai mille problemi legati alla professione, ora si ritrovano a dover fronteggiare un magazzino di vino pieno. Che fare allora? C’è chi punta su una carta dealcolati, come Nuccia De Angelis (ristorante D.One a Montepagano) selezionando le espressioni migliori del comparto tra Italia, Francia e Germania – più avanti nella dealcolizzazione – e c’è chi invece dispensa etilometri in modo da monitorare la situazione alcolica prima di mettersi alla guida.

Resta il nodo dell’alcolock da sciogliere e che dovrebbe essere attivo da luglio 2025. Simile a un etilometro, il dispositivo impedisce l’avviamento del motore di un veicolo se rileva un tasso alcolemico nel respiro del conducente superiore al limite consentito. Funziona così: il conducente soffia nell’apparecchio prima di avviare l’auto e se il tasso alcolemico è superiore al limite impostato, il motore non si accende. L’operazione si ripete per ogni accensione del veicolo. Un dispositivo castrante, lo definisce l’avvocato Arianna Di Pietro, poiché è installato per un periodo di tempo prolungato (dai 2 ai 3 anni) è difficile da gestire con un’unica auto da condividere, il dispositivo necessita di manutenzione e di taratura, non è funzionale alla normale vita di una famiglia. Insomma, potrebbe essere un ulteriore impedimento difficile da fronteggiare. Cosa fare allora?
Se all’estero è una realtà già consolidata non solo sui veicoli privati, ma anche sugli aziendali e pubblici, in Italia la parola “tolleranza zero” resta inconcepibile, soprattutto se priva i commensali della condivisibile bottiglia di vino che fa status e cultura enogastronomica. Invece di vietare è bene puntare a un’informazione consapevole e, per chi vuole azzardare, magari sul vino dealcolato.

Il futuro sarà a bassa gradazione o a zero alcol?
Che sia una sfida, opportunità o insidia, certamente è un tema che crea dibattito. Se lo sono chiesti nel secondo talk del lunedì 23 giugno Marzia Varvaglione (Presidente Ceev), Silvio Ariani (direttore commerciale Hofstatter), Fabio Babetto (Responsabile Ufficio Agrario Gruppo Banco Desio), Gianni Sinesi (Sommelier professionista), Carlo Finore di Campli (Azienda Eredi di Legonziano).
Proprio il prodotto che senz’alcol indigna i puristi del vino solo in Italia, oggi vale 3,3 milioni di euro e punta a crescere di 15 milioni negli ultimi anni, mentre nel mondo realizza 2,4 miliardi di dollari e si prospetta una crescita a 3,3 miliardi nel 2028. A dirlo è la presidente Ceev Varvaglione, che sottolinea quanto questo business ingolosisca i produttori che, chi prima chi dopo, scelgono di cimentarsi sull’argomento. È vero, a livello normativo c’è ancora molto da chiarire poiché il decreto-legge è entrato in vigore solo il 12 giugno. Il Ministero dell’Economia e il MASAF stanno accorciando le distanze sulle questioni fiscali, tra accise e semplificazioni in fatto di produzione, proprio per poter permettere a tutti gli interessati di partire a gennaio 2026. Sarà un’utopia o realtà? Secondo gli addetti ai lavori è l’ora di darsi da fare.
Ciò che è emerso, però, è un tema fondamentale: quello della convivenza e non dell’antagonismo di questa categoria di vino con il tradizionale. C’è un pubblico che lo richiede e pertanto è necessario dare l’opportunità di misurarsi con questa realtà, anche se la cultura italiana resta riluttante sull’idea di un vino senz’alcol. A dirlo è il direttore commerciale di Tenuta J. Hofstatter, Silvio Ariani.
Che sia Igt o Doc è ancora tutto da decidere, mentre oggi si discute di vino generico da dealcolizzare. Un modo che potrebbe togliere ulteriore valore al prodotto, ma non è detto che non si stia lavorando per mettere in etichetta – analcolica, si intende – il nome del vitigno, rendendo la percezione del vino più reale, ma senza mai paragonarsi a questo. Se esisterà mai un Barolo o un Montepulciano d’Abruzzo dealcolato, su questo non ci sono dubbi, è di sicuro un no a detta di tutti. Ora è il momento di mettersi in ascolto per non lasciarsi sfuggire un’opportunità di mercato importante a bassa gradazione.

Il futuro della spumantizzazione
La spumantistica all’italiana, come dimostrano i numeri, è nel cuore del suo momento d’oro ed è per questo che esaltarla con degli eventi dedicati significa mettere il consumatore al centro di una caccia al tesoro, quella in cui le eccellenze tutte italiane si mostrano per ciò che sono e restano delle grandi sorprese da scegliere poi in enoteca. Inoltre, le riflessioni sul mondo dinamico del vino sono inevitabili e aiutano a stare dietro a un mercato in continua crisi e risalita. L’invito di Abruzzo in Bolla è proprio questo: lasciarsi andare alla scoperta e abbandonare i luoghi comuni legati allo spumante, quello da stappare solo alle feste. Perché sì, ogni momento è buono per sbocciare.
