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Personaggi e Storie
23/12/2025
Di Serena Leo

Cantina Marisa Cuomo, da dono di nozze a caso di successo della viticoltura in Costiera Amalfitana

Il caso Marisa Cuomo è un esempio virtuoso di come, sin da tempi non sospetti, puntare sui vitigni autoctoni è una scelta vincente

“Sono un folle e per questo non posso vivere in un paese diverso da quello che si chiama Furore”. Così Andrea Ferraioli si racconta come persona prima e vignaiolo poi. È lui il sognatore che ha dato forma, assieme a sua moglie Marisa Cuomo, all’azienda di famiglia che oggi racconta il vino della Costiera più bella del mondo. Ad evocare subito profumi e immagini mozzafiato è ogni bottiglia che riprende paesaggi capaci di far piangere per l’emozione.
Se la Costiera Amalfitana si distingue per il suo patrimonio artistico e paesaggistico, c’è anche quello vitivinicolo da salvaguardare. In una terra più che eroica, dove fare vino è una vera e propria impresa, ci sono microaziende in grado di dare il giusto prosieguo a questa attività. Pochi ettari, a volte solo frazioni di queste, che servono per raccontare un territorio unico nel suo genere. Ebbene, l’azienda Marisa Cuomo ne detiene addirittura tre di ettari – un numero record per la categoria – e si classifica tra le grandi aziende del territorio, considerando anche la presenza dei conferitori sparsi per le montagne, fondamentali per garantire un vino di squadra capace di solcare gli oceani. Una storia d’amore per la terra e per la famiglia che, ancora oggi, scrive un capitolo a parte nel grande libro del vino italiano.
Era il 1980 quando tutto iniziò e non fu un caso, ma una serie di eventi fortunati. “Provengo da una famiglia di vignaioli che fino agli anni Sessanta ha operato sul territorio, e che chiuse i battenti perché si vendeva poco – racconta Andrea – Certo, era l’epoca dei grandi brand che facevano numeri da capogiro poiché ben pubblicizzati e piazzati praticamente ovunque. Motivo per cui andavano avanti solo loro durante il decennio Sessanta e Settanta in ogni ristorante, bar ed enoteca d’Italia. Nel frattempo io partì per la leva obbligatoria e tornando, volli riprendere l’attività di famiglia perché mi mancava la vigna e l’odore del vino, ma ovviamente volevo dare una nuova connotazione. A questo punto chiamai a raccolta i parenti pretendenti del marchio Gran Furore Divina Costiera e si decise di acquistarlo. Si trattava dello storico brand nato nel 1942 per accompagnare i vini prodotti sulla costa di Furore, ma il periodo storico non era favorevole anche per loro, quindi venne venduta. Arrivò il giorno del mio matrimonio e proprio per l’occasione decisi di intestare l’azienda a mia moglie Marisa. Correva l’anno 1981 e questo fu un vero e proprio dono di nozze, proprio come accade nelle magnifiche storie d’amore”. L’attività vera e propria però, iniziò nel 1983 con la classica apertura della partita Iva, sinonimo del “ora facciamo sul serio”. “Erano gli anni più difficili perché partivamo con poco prodotto, ma lo scandalo del metanolo ci fece imbroccare la strada giusta, infatti si iniziò a pensare a prodotti di qualità alta e già nel 1989 sul territorio si parlava di vini a marchio dop nel territorio di Furore, Ravello e Tramonti”. Stava per essere scritta una nuova storia e Andrea e Marisa c’erano dentro.

Luigi Moio, la Pergola Amalfitana e l’etica del sacrificio

Nel 1995 l’azienda Marisa Cuomo guardava già al futuro oltre gli anni Novanta e dell’internazionalizzazione a tutti i costi. Proprio con Luigi Moio si pensò di pendere una direzione audace e giusta. Il professore, che all’epoca ritornava in patria dai suoi viaggi in Francia, accettò la consulenza firmandone il successo. “Moio mi ha ha insegnato l’arte del vino, quello che guarda alle proprie origini e radici. Per me che non ho frequentato una scuola enologica e agraria è stato solo un apprendere senza avere pregiudizi, perché in caso contrario sono sicuro che l’azienda così come la vediamo oggi non sarebbe esistita. È stato detto no ai reimpianti per varietà internazionali e di facile appeal, piuttosto abbiamo puntato su varietà prefillosseriche recuperando la geometria della pergola amalfitana senza stressare la terra con uno sfruttamento intensivo. È stato recuperato ciò che facevano già i nostri avi contadini, riflessivi e ingegnosi, quindi potevamo usufruire di una doppia coltivazione poiché all’interno della pergola piantavamo ortaggi che rendevano la vite ancor più viva”.
La pergola amalfitana, per Andrea Ferraioli è un tesoro che andava e va preservato, una sorta di orgoglio aziendale e simbolo della della Costiera più impervia. Realizzarla è un’arte contadina che si tramanda ancora da generazione e Andrea ne ha fatto tesoro, rendendola simbolo aziendale. “La pergola è realizzata tenendo conto della tradizione del vignaiolo dell’epoca ed è una tecnica che riattiva boschi di cedri e castagno, quelli che prosperano sulle nostre montagne. È un mezzo di recupero e scongiura il pericolo di frane poiché genera vita. La pergola vera e propria vede dei pali con tre tipi di legno che fungono da puntilli e traversi da massimo quattro metri e mezzo di altezza. All’interno di ognuna di queste, che regge per circa 25 anni, si può coltivare una serie di ortaggi utili per la sussistenza come pomodori, piselli, mentre i corridoi sono zone d’ombra”. Ma la natura non ha mai fatto nulla per caso e il vignaiolo di un tempo ha pensato anche a proteggere e proteggersi dal sole grazie alla pergola. Oggi questo strumento si rivela utile per assecondare l’innalzamento delle temperature ed evita le scottature della pianta e grappoli. Oltre a costruire e ricostruire un paesaggio, lo si abbellisce laddove ci sono solo costruzioni senz’anima.

Andrea Ferraioli e Marisa Cuomo

Oltre a non perdere il patrimonio ampelografico, attraverso studi di ricerca con microvinificazioni con l’università Federico II di Napoli, si è lavorato per riconoscere i vitigni storici. “Oltre la falanghina e biancolella, sono stati recuperati ceppi di ginestra, fenile, ripoli. Per il rosso invece, non ci siamo scostati dal tradizionale aglianico e piedirosso. Ancora oggi non mancano vitigni non classificati e davvero antichi che, in un modo o nell’altro, continuiamo a preservare. Il tutto viene coltivato a parete, in verticale, poiché lo spazio è quello che è, ma ci si agevola sfruttando la saggezza tramandata”. Fare viticoltura in Costiera è una questione di spazio e organizzazione, infatti, basti pensare che una vigna in media di 800 metri della proprietà più piccola è composta da 28 particelle. Le difficoltà gestionali rendono queste operazioni più che eroiche, quasi impossibili. “Tutto questo diventa materia di confronto con i turisti e gli avventori che passano in cantina. Vogliamo portarli in vigneto proprio per toccare con mano il lavoro che si fa in campo giornalmente. Ci si arrampica per le scale e non si smette mai di guardare al mare, anche con una pendenza al 60% e a 500 metri dal mare”.
Nulla è minimamente meccanizzabile, secondo Andrea. “Sarebbe una follia portare i macchinari in vigneto, poiché non ce ne sarebbe lo spazio di manovra”. Per questo motivo si lavora risparmiando sugli interventi meccanici che potrebbero generare inquinamento e distruggere la biodiversità in campo. Si fa quindi, sostenibilità a tutti i livelli, non solo ambientale ma anche economica e che vale anche per i conferitori. Proprio questi sono motivo di orgoglio per la cantina Marisa Cuomo che si fregia di poter avere microconferitori in grado di proseguire con la filosofia del biologico, lavorando per ottenere la produzione in accordo con la certificazione SNQPI. “Una scelta che premia il territorio da anni” afferma Andrea.

Bottiglie contrassegnate per un sorso di “follia di Costiera”

In Costiera si propende per essere bianchisti, ma senza pensare di essere competitivi con nessun altro per numeri e gusto. “In molti vini trovo la mineralità con l’aspetto aromatico che richiama il territorio, ed è uno dei tratti distintivi dei prodotti di tutti coloro che lavorano in modo franco nelle località della Costiera Amalfitana. Anche se non tutti riescono a produrre sui terrazzamenti audaci lungo questo tratto di costa, si può anche andare verso Tramonti, territorio che detiene il 60% della viticoltura. Anche questo è estremo, ma rispetto a Ravello e Furore è meno complicato da vitare. Qui il vitigno principe è il tintore che, come presidente del consorzio, ho chiesto di poter indicarlo in etichetta come tintore Tramonti”. Un’opportunità per raccontare una Costiera in evoluzione e meno chiusa su se stessa.
L’azienda Marisa Cuomo si attesa su 200.000 bottiglie contrassegnate che vanno a finire nelle attività commerciali della Costiera dal respiro internazionale, ma vanno anche all’estero. “Vogliamo essere presenti con pochi esemplari ma in maniera omogenea. Vendiamo negli Stati Uniti, Russia, Brasile e Giappone. Siamo presenti in Europa come prodotto di lusso perché raro. Esportiamo quasi il 30% della produzione, ma scegliamo dove essere presenti poiché devono sapere cosa stanno vendendo e non si tratta di un vino qualunque, piuttosto frutto di fatica e ingegno”.

Oltre 40 anni di amore per il territorio e un futuro da “perfezionisti”

Andrea si definisce un perfezionista con la voglia di eccellere nella presentazione del lavoro ormai più che adulto, ma anche per un patrimonio pronto a prosperare sotto la seconda generazione. “La chiave del mio successo è cercare di fare sempre di più e non adagiarmi sugli allori. Un lavoro continuo e senza punti bui è premiante, tanto in vigna quanto in cantina”.
Andrea Ferraioli definisce scherzando tutta questa storia come “successo di un’anomalia imprenditoriale” ma in realtà tutto questo è frutto della caparbietà e del furore, tanto come tratto caratteriale quanto come posizionamento geografico, che ha reso questa esperienza non facile un caso “da bere” e da raccontare, ma non da vendere o, peggio, svendere. “La mia terra non è e non sarà mai una terra di conquista da parte di stranieri e investitori e il motivo è semplice: la Costiera Amalfitana è fatica, come lo è Furore e qui la viticoltura è solo per gli audaci, di tutti coloro che sono nati e cresciuti qui”.
Tutte queste premesse sono la base per un futuro radioso per cantina Marisa Cuomo. L’opera non si ferma, anzi si arricchisce andando oltre la sua storica cantina ricavata nella roccia e che si affaccia direttamente sul mare e che accoglie visitatori da tutto il mondo ogni giorno. Infatti a breve verrà inaugurata una nuova struttura del tutto sostenibile a livello ambientale e ben integrata con il territorio, senza essere impattante in alcun modo. Si troverà ad Agerola, tra Furore e Amalfi e sarà un nuovo punto del racconto di Andrea e Marisa, con i suoi figli pronti a raccogliere il testimone di questa grandissima storia d’amore a cui non si può mettere un punto e che profuma di buono.

Serena Leo
Serena Leo

Laureata in giurisprudenza, all’avvocatura ho scelto il vino che è diventato il mio lavoro a tutti gli effetti. Come giornalista freelance scrivo per diverse testate del mondo vitivinicolo, dedicandomi a svelarne gli aspetti più curiosi. Da pugliese Docg sono innamorata di questa terra che, molto spesso, ritorna tra le righe dei miei racconti online e su carta stampata. L’obiettivo però, resta sempre lo stesso: svelare cosa c’è in un calice di vino senza perdersi in troppi giri di parole.

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