Foraging: l’arte di raccogliere il cibo selvatico
Una moda, quella che dilaga sui social. Tutti ne parlano, in pochi la conoscono veramente: che cos’è l’arte del foraging? E come mai è tornata alla ribalta? Il foraging, ossia la raccolta del cibo selvatico, non è certo una novità del XXI secolo. Seguendo le tendenze del ritorno al passato, ma rigorosamente con termini anglosassoni, anche la raccolta di erbe spontanee e bacche sta vivendo la sua seconda giovinezza. Erano le nostre bisnonne che padroneggiavano la tecnica con disinvoltura, perché allora non tutto era facilmente reperibile sui banchi dei supermercati e il cibo si doveva procacciare in qualsiasi modo.
Dopo decenni di obsolescenza, le cosiddette “erbacce” sono tornate a far gola anche agli chef più quotati e si è optato per un vero e proprio ritorno alle origini. Vediamo da dove arriva questa tendenza e come si mette in pratica.
Un ritorno alla natura
Già da diverso tempo si percepisce questo voler prediligere una cucina naturale e via via sempre più improntata al vegetale. La raccolta di erbe selvatiche e spontanee è la sublimazione di questo concetto, portato all’ennesima potenza. I primi segnali ci sono giunti dal Noma di Copenaghen, dove René Redzepi ha preparato i palati del pubblico a bacche, cortecce ed erbe dalla dubbia commestibilità, ma che il maestro ha saputo senza dubbio lavorare nel giusto modo. Ovviamente, si prende sempre spunto dai migliori e il foraging ha iniziato a dilagare a macchia d’olio in tutto il continente. Potrebbe risultare strano, per alcuni, rinunciare alle comodità degli scaffali del supermercato, ma sono in molti che si stanno avvicinando alla disciplina.
Anche i più giovani, avvezzi ai social, ne sono rimasti colpiti o, più verosimilmente, hanno voluto seguire la tendenza cimentandosi sul campo. Quello che va precisato è che sarebbe sempre opportuno mettersi nelle mani di chi conosce la materia, in quanto la raccolta di specie errate potrebbe provocare danni più o meno gravi ai degustatori. Per tale ragione sono stati organizzati negli ultimi anni dei laboratori sulla raccolta e sull’utilizzo del cibo selvatico, in modo da istruire preventivamente i fruitori della natura selvatica.
Cosa offre la cucina selvatica
Alghe, cortecce, muschi, licheni e chi più ne ha più ne metta. Il foraging è in grado di offrire un pasto completo dall’antipasto al dolce, tutto sta nel riconoscere le piante giuste e abbinarle nel modo corretto. Questa nuova corrente ha portato molti produttori italiani a concentrarsi sul recupero delle erbe dimenticate e alla conversione dei campi nella coltivazione delle stesse. Una corrente che porta sempre di più verso l’alimentazione naturale, ma toglie il fascino della ricerca spontanea che rimane un viaggio nella storia e nel paesaggio per conoscere radici e ambiente.
La terra è la fonte primaria di cibo, basti pensare ai funghi e ai frutti selvatici. Il foraging porta a un livello superiore il raccolto, inoltrandosi nella conoscenza di piante commestibili e non, di ecosistemi da non alterare e di eticità nei confronti del cibo. Quello che si trova spazia dai più comuni tarassaco, ortica, malva e acetosella, sino ai licheni, trasformabili in farine alternative, e germogli di abete da rendere sciroppi espettoranti e antinfiammatori. L’ampia portata dell’offerta non lascia limiti allo sviluppo di ricette innovative e a una nuova visione del contatto con la natura.
La sostenibilità e salubrità del foraging
Si è parlato di tendenze, di social e di diffusione di questa disciplina, ma è bene parlare anche dei benefici che si possono trarre da essa. Il foraging va praticato eticamente, senza prendere più del dovuto e lasciando nell’ambiente il necessario per la sopravvivenza dell’intero ecosistema. Fatta questa premessa è possibile comprende quanto la raccolta sia importante al fine di valorizzare la biodiversità di una data area geografica, riscoprendo una flora dimenticata e tramandandone storia e tradizione. Molte delle ricette tipiche del territorio italiano presentano erbe e ingredienti naturali che sono cadute nel dimenticatoio per troppo tempo, almeno sino alla riscoperta del foraging.
I benefici iniziano già dall’immersione nel contesto naturale, con i cosiddetti “bagni nella foresta” che, secondo antiche discipline orientali, da soli sono in grado di garantire effetti positivi sul corpo e sulla mente. Dal lato pratico, la raccolta e il consumo di alcune erbe spontanee apporta importanti sostanze nutritive e, in funzione della specie in oggetto d’esame, può avere risultati antinfiammatori, disintossicanti, drenanti o digestivi. Tutto sta nel saper dosare correttamente la raccolta e l’assunzione del cibo selvatico preventivamente riconosciuto.
Cosa cucinare con il cibo selvatico
Molte di queste piante spontanee hanno il pregio di essere buone anche degustate in una semplice insalata. Ne sono un esempio la portulaca, il tarassaco, il crescione e la cicoria selvatica. L’ortica, apprezzata per le sue proprietà antinfiammatorie e diuretiche, è ottima in risotti, frittate o come ingrediente per la preparazione di decotti. Nella tradizione ligure esiste un bouquet di erbe selvatiche chiamato prebuggiun, differente in base alla zona e alla stagionalità, tendenzialmente a base di borragine, silene e gattalingua. Si utilizza nella preparazione dei pansoti, come ricco ripieno vegetale, o nella realizzazione di torte salate.
Il foraging ha conquistato anche molti chef che hanno deciso di passare dal campo prima di varcare la soglia della cucina. Nascono, così, piatti come quelli di Alessandro Gilmozzi, chef del ristorante El Molin di Cavalese, dove le erbe fanno da padrone. Non a caso ha conquistato la stella verde Michelin per la sostenibilità e nel menù offre gelato alla corteccia, salmerino al latte fermentato e resina e risotto ai germogli di muschio. È la dimostrazione che anche con il foraging è possibile realizzare piatti raffinati che esulano dai preconcetti della cucina povera di una volta. La raccolta del cibo spontaneo ha una nuova visione e i risultati si vedono nel piatto.