Il pastoralismo e la filiera lattiero casearia sarda tra prodotti noti e altri quasi banditi
Il binomio formaggi e territorio va di pari passo da secoli a questa parte in Sardegna. È facile associare quest’isola alla produzione di pecorino, essendone il maggior traino a livello europeo. Ci sono però elementi della tradizione che molto spesso non hanno il palcoscenico che si meritano. La tradizione casearia sarda è un patrimonio che va analizzato per comprendere la cultura di questi luoghi. Non è un viaggio semplice e immediato, ma una ricerca che va fatta tornando indietro nel tempo, fino alle origini del pastoralismo, o perlomeno delle prime testimonianze che sono giunte sino ai giorni nostri.
Il pastoralismo come stile di vita
Questo fenomeno viene spesso collegato all’attività di allevamento, discernendolo da quella che è la sua vera natura. Il pastoralismo è un vero e proprio modo di vivere, un elemento culturale che viene intrapreso dai transumanti e dai margari e che segue propri dettami, spesso al di fuori della cultura dei luoghi dove viene praticato. I pastori, lo si può ben vedere nel caso della Sardegna, sono vere e proprie tribù a sé stanti, con il loro linguaggio gergale e il loro modo di scandire le giornate e i momenti dell’anno diverso dal resto della comunità. Questo fenomeno non è legato all’allevamento di una determinata specie animale, ma bensì al nomadismo intrinseco che porta i pastori a seguire il ciclo vegetativo della natura spostandosi seguendo le stagioni.
Il pastoralismo sardo ha una storia millenaria, ma rappresenta ancora oggi l’unione tra il territorio, il clima, gli animali e l’essere umano. Il paesaggio così come lo vediamo oggi è anche il risultato di questi spostamenti e stanziamenti temporanei. Una soluzione naturale e spontanea per mantenere viva la biodiversità e per garantire uno sviluppo economico ancora radicato alle origini. Tutt’altro che semplice, la vita dei pastori è però in grado di preservare quell’identità culturale locale, nonostante si stia rischiando di perderla per sempre. Proprio per via di queste difficili condizioni e dell’avvento di nuove tecnologie e forme di sviluppo economico, il futuro del pastoralismo è oggigiorno più che mai incerto.
L’etnografia del mondo caseario sardo
La letteratura etnografica di questo territorio offre spunti molto interessanti in merito al fenomeno del pastoralismo. È noto che questo movimento ha contribuito alla delineazione di confini territoriali. Il motivo? Gli scontri con i contadini. Queste due “fazioni” si sono sempre contrapposte per ragioni politiche, sociali e di gestione territoriale. Una competizione che trovava ragione di discussione nello stabilire in quali zone si potesse pascolare e in quali fosse proibito, mutando nel tempo i confini in funzione del rapporto fra popolazione stanziale e risorse disponibili. Partendo dalle origini, tutto nacque dal ramo della popolazione sarda nuragica che era rinomato per le sue abilità in guerra e in allevamento. Furono loro i primi pastori della Sardegna che intrapresero l’attività casearia per poi tramandarla sino ai giorni nostri.
I formaggi locali hanno trovato posto sulle tavole dell’antica Roma nella veste dei formaggi di Gallura, di Arborea e di Torres, allora principali centri di produzione. Le testimonianze storiche attestano il commercio dei formaggi sardi a Genova e, successivamente, in un bacino del Mediterraneo più ampio, giungendo sino a Marsiglia da un lato e a Napoli dall’altro. Facendo un salto temporale e giungendo al secondo dopoguerra possiamo riscontrare un recupero di quest’attività con una conseguente evoluzione grazie all’introduzione di nuovi modelli di gestione delle risorse. Dai sistemi agro-pastorali tradizionali di è passati a quelli estensivi intorno agli anni Settanta a causa della crisi della cerealicoltura e dell’abbandono delle campagne.
L’aumento della richiesta lattiero-casearia
Nonostante la crisi del mondo agricolo, la scarsità di materie destinate al nutrimento del bestiame non ha fermato la crescita della domanda di latte e formaggio. Con l’abbandono delle campagne, molti contadini si sono convertiti a pastori, con una saturazione del mercato che porta anche all’impoverimento della biodiversità e alla rottura del legame di reciprocità tra queste due realtà comunitarie. Nonostante l’impoverimento della vegetazione, il pastoralismo ha dato un’ulteriore prova della sua resilienza adattandosi a questo nuovo contesto riorganizzando le risorse disponibili. Negli anni Settanta si ha un notevole aumento del prezzo del latte. Questa condizione permette ai pastori di accumulare un patrimonio tale da consentire loro la costruzione di aziende moderne nelle pianure una volta vocate alla coltura cerealicola.
Queste nuove realtà vogliono opporsi ai colossi industriali che già erano approdati sull’isola e per farlo al meglio si uniscono in cooperative. Nonostante tutti i loro sforzi si sono spesso trovate ad adattare la loro produzione alle esigenze del mercato. La pecora di razza sarda resta però il fulcro di questa tradizione pastorale. Una specie che offre una consistente produzione di latte e una buona qualità delle carni. Il formaggio Fiore Sardo DOP può essere prodotto, da disciplinare, solamente con latte di pecora di razza sarda ed è da sempre uno degli emblemi di questa attitudine territoriale alla caseificazione.
I prodotti caseari che hanno reso celebre la Sardegna
Dire Sardegna equivale a dire Pecorino Sardo. Un formaggio a pasta dura che nella sua versione DOP è prodotto unicamente con latte di pecora intero proveniente dalla Sardegna. In base alla stagionatura e alla lavorazione assume le denominazioni di Dolce, stagionato uno- due mesi, e Maturo, più di quattro mesi, e in entrambi i casi è adatto sia alle preparazioni gastronomiche che all’essere degustato in purezza. Questo è un chiaro esempio di come un prodotto alimentare possa diventare il simbolo culturale di un’intera regione. Basti pensare alle feste e alle sagre che lo celebrano, ma anche ai piatti emblematici del territorio come le seadas, questi dischi di semola ripieni di pecorino fresco e ricoperti di miele di corbezzolo sono un lampante esempio di questa teoria.
Esiste un altro prodotto legato alla cultura casearia della Sardegna: il casu martzu. Per semplificarne la spiegazione si potrebbe dire che si tratta di un particolare tipo di pecorino colonizzato dalle cosiddette larve di mosca del formaggio. Questo formaggio viene posto in particolari condizioni ambientali per far si che le uova vengano deposte al suo interno. Così facendo, le larve, nutrendosi del formaggio stesso, contribuiscono a creare la crema morbida che contraddistingue il casu martzu. Per preservare questo prodotto ai limiti delle consuete norme igienico- sanitarie, la Sardegna lo ha inserito nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali, potendo così richiedere deroghe nella sua produzione. La storia casearia e pastorale della Sardegna è parte del patrimonio culturale italiano e prodotti come questi ne sono la più grande testimonianza.