Il reinserimento sociale dell’isola-carcere della Gorgona passa dall’agroalimentare

L’isola dalle molteplici facce. La Gorgona racchiude in sé più sfumature e una storia unica nel suo genere. Oggi è l’ultima isola-carcere rimasta nel Mediterraneo e ogni suo angolo narra vite. Dalle antiche dominazioni romane fino alle più recenti produzioni di acciughe salate, quest’isola dell’arcipelago toscano ha un importante patrimonio culturale italiano che merita di essere scoperto. Ad accogliere i visitatori, ancor prima di sbarcare dall’imbarcazione, sarà la fitta vegetazione mediterranea che ricopre l’intera isola. Solo avvicinandosi di più si riuscirà a leggere il murale celeste che incornicia la zona di attracco. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. L’articolo 27 della Costituzione fa ben intendere l’indole che anima questa macchina che per anni è stata così ben oliata da essere presa come punto di riferimento. Capita, a volte, che si riscontrino cambi di rotta; nonostante ciò, la Gorgona rimane ancora oggi un modello da seguire.

Gorgona, una storia di detenzione, lavoro e riscatto
Dal sottotitolo del libro dedicato Ne vale la pena di Carlo Mazzerbo, ex direttore della casa di reclusione di Gorgona, si evince il modus operandi di una realtà ben diversa dalle tradizionali carceri come intese al giorno d’oggi. Qui si arriva per buona condotta, perché in fin dei conti l’isola è un premio concesso per imparare un mestiere ed essere aiutati nel reinserimento nella società nel migliore dei modi. L’intero territorio è da considerarsi colonia penale, pertanto le visite esterne sono effettuabili solamente con guide autorizzate, in specifici giorni e in condizioni prestabilite. È però attivo un progetto sociale che consente ai detenuti di accompagnare i visitatori lungo il percorso alla scoperta dell’isola per condividere la loro esperienza. Ed è qui che si comprende il vero valore di un modello dove il confine tra reclusione e libertà è così labile da essere talvolta dimenticato dagli stessi carcerati. Giornate scandite dal lavoro all’aria aperta, la palestra, il campo da calcio e il progetto teatrale di Gianfranco Pedullà sono vie per ritrovare quella dignità molto spesso privata in altre condizioni.

La rieducazione dei detenuti passa dal settore agroalimentare
Il “modello Gorgona” pone il lavoro al centro del progetto. Un modo per avere un sostentamento economico, per imparare un mestiere e per essere poi facilitati nel reinserimento nella società. In un’isola con propensione all’agroalimentare, non poteva che incentrarsi su questo settore lo sviluppo delle attività lavorative. Tutto ebbe inizio quando il direttore del carcere Carlo Mazzerbo e il medico veterinario Marco Verdone iniziano la sperimentazione del modello con la liberazione dei capi animali presenti sull’isola e fino ad allora chiusi in gabbie e recinti. Un primo passo verso l’integrazione totale con l’ambiente circostante da parte dei detenuti che, così, si trovarono a condividere i loro spazi e a iniziare mansioni legate al nuovo ecosistema creatosi. Un punto di partenza che ha portato successivamente alla collaborazione con professionisti del settore per sviluppare un sistema di produzione sostenibile dove erano gli stessi carcerati a dedicarsi alla caseificazione e alla gestione del bestiame. Il macello, attivo fin dal dopoguerra per garantire una completa sussistenza all’isola, è stato definitivamente chiuso nel 2014, ritenendolo contro la coerenza dei principi del modello. Da quel momento si è assistito a un progressivo declino di queste attività svolte sull’isola. Animalisti contro la politica di gestione degli animali da un lato e mancanza di supporto da parte delle istituzioni dall’altro hanno portato all’abbandono del progetto di allevamento e produzione casearia sulla Gorgona.

La vigna Frescobaldi
Più recente e ancora attivo è il progetto della società agricola Frescobaldi di Pontassieve, Firenze. L’idea di piantare un vigneto nell’anfiteatro naturale dell’isola è frutto di una collaborazione tra enologi, agronomi e i detenuti opportunamente formati. La rieducazione avviene, in questo caso, apprendendo un mestiere che in Toscana offrirebbe grandi sbocchi lavorativi al termine della pena da scontare. La conformazione dell’isola, con i suoi terreni ferrosi ed esposizione ideale, è riuscita a dar vita al Gorgona Rosso, un vino affinato in orcio ottenuto da Sangiovese e Vermentino Nero. Una coltivazione biologica che ha dato frutti positivi, tanto da rendere possibile l’espansione dei vitigni e la realizzazione del Gorgona a base di Vermentino e Ansonica. Poche bottiglie prodotte, ma ognuna delle quali racchiude speranza, riscatto e voglia di ricominciare a vivere, avendo solide basi da cui partire.

La Bianca di Gorgona, la varietà a rischio estinzione
Se di agricoltura si vuole parlare, è impossibile procedere senza menzionare una varietà di olivo presente unicamente sull’isola di Gorgona. La Bianca di Gorgona è una scoperta dell’agronomo Francesco Presti e del CNR Gorgona. In un paradiso vegetale, con più di 500 specie censite, non potevano mancare olivi ultracentenari ancora non classificati a livello nazionale. Con la collaborazione di Claudio Cantini dell’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree è stato possibile studiare il DNA di queste piante e istituire questa nuova cultivar. La conta si limita a venti alberi, pertanto inseriti nella lista delle varietà a rischio estinzione. Quella che è nata come scoperta botanica potrebbe entrare a far parte del patrimonio rieducativo dell’isola. Si è provato a percorrere questa strada istituendo bandi per la gestione del patrimonio olivicolo locale, magari sulla scia dell’esperimento ben riuscito delle vigne. In assenza di esiti positivi a lungo termine, si è tentato di intraprendere una produzione autoctona, ma, senza la giusta guida e la formazione necessaria, sono mancati i risultati. Quello che tutti sperano è di riuscire a trovare qualcuno che creda anche in questo progetto e riesca a farlo rientrare a pieno titolo nel modello detentivo della Gorgona.

Cosa significa vivere in una colonia agricola su un’isola
L’isola della Gorgona è l’esempio perfetto del doppio isolamento a cui sono sottoposti i detenuti che vi vivono. Una reclusione carceraria e territoriale che amplifica le difficoltà di incontrare i propri i cari e che fa dipendere gran parte della quotidianità dalle condizioni climatiche e del mare. Vivere in una colonia agricola carceraria su un’isola porterebbe a pensare a un’economia di sussistenza e qui ci sarebbero tutti i fattori per portare avanti quest’idea. Terrazzamenti per olivi e vigneti, strutture per accogliere bestiame, laboratori per la produzione alimentare, arnie per il miele. Tutto pare convergere verso un idilliaco sistema dove i carcerati salariati abbiano ognuno una propria mansione e dove non sia quotidianamente necessario il rifornimento dalla terraferma. La realtà dei fatti conduce ben lontano da questo utopico pensiero e la costante mancanza di fondi riporta con i piedi per terra. Incontrare chi vive questo ambiente aiuta a comprendere la grande volontà di riabilitarsi e questa “formulazione ridotta” è stata, ovviamente, accolta, ma con grande rammarico dei tempi in cui si poteva fare di più. L’isola di Gorgona è un “esperimento sociale” che ha dato grandi risultati su tutti i fronti e che andrebbe maggiormente supportato per proseguire con i suoi nobili intenti. Conoscere e far conoscere questo lato del turismo italiano potrebbe essere un nuovo punto di partenza.
