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Coltivare e Produrre
09/12/2025
Di Serena Leo

Marzemino, da autoctono dimenticato a vino che racconta la tradizione trentina a local e turisti

Dalla Vallagarina il rosso del Trentino che apre un nuovo spiraglio di promozione territoriale.

“Che si versi l’eccellente marzemino”. Così si recitava si recitava nel Don Giovanni di Mozart ed è questo l’invito che si fa quando si parla della varietà trentina. Una varietà curiosa, quasi messa al bando dai primi del Duemila a oggi, ma che genera ancora curiosità e fermento quando se ne parla, o meglio, se ne beve.
Coltivato in diverse zone del nord Italia come i Colli Euganei in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, è in Vallagarina che il marzemino ha trovato la sua casa ottimale, ma occhio alle sponde dell’Adige e al suolo argilloso alluvionale o vulcanico, perché lì si gioca la partita del gusto. Le zone che hanno sempre saputo dire la loro sono state – e sono – quelle circostanti al comune di Isera e dei Ziresi, tra Volano e Calliano. Si tratta di territori che si distinguono per le condizioni pedoclimatiche tipicamente favorevoli per lo sviluppo del marzemino, vitigno comunque difficile da trattare e che richiede estrema attenzione durante l’anno.

Adesso di questa varietà se ne produce sempre meno, un abbattimento fisiologico che, però, si scontra con un gusto del consumatore sempre in mutamento e oggi attento ai rossi più leggeri e beverini, chiaramente non scontati. Il marzemino, quindi, potrebbe posizionarsi bene in questo momento favorevole del mercato se solo i produttori fossero più coraggiosi. Tra chi la tradizione la vive, ma la reinterpreta in chiave moderna, a chi invece, prova a rimettere in piedi un team capace di valorizzarlo dal punto di vista turistico, il marzemino si prepara a rivivere una stagione d’oro grazie alle sue potenzialità e, va detto, al gusto.
Dalla Vallagarina le voci di Eugenio Rosi, tra i produttori di marzemino visionario e Mauro Baldessari, presidente di Vivallis e vicepresidente de La Casa del Vino, associazione pronta a dare un nuovo contributo per la promozione territoriale ed enogastronomica che, sorpresa, coinvolge anche l’amato vitigno. Con loro è stato fatto il punto sul marzemino e su quello che può esprimere come volano della tradizione autoctona regionale.

L’identikit del marzemino

“Il marzemino non è un vino banale”. Così Eugenio Rosi, produttore che ha puntato sul vitigno buona parte della sua produzione, non ci sta a chiamarlo solo beverino. “L’autentica espressione al bicchiere è quella di un vino importante che si esprime in maniera franca e netta anche a distanza di anni. Conserva la sua freschezza e l’aroma di viola e ciliegia. La sua complessità aromatica poi, viene esaltata dall’affinamento in botti di castagno, come si faceva un tempo. Oggi ho ripreso questa pratica unendo anche botti di ciliegio”. Una scelta, quella del produttore, fatta per portare avanti un pezzo della storicità che lega il vitigno al territorio della Vallagarina, ma che non sempre è risultato vincente, soprattutto durante gli anni Settanta e Ottanta, quando il marzemino non ha vissuto proprio la sua epoca d’oro, a detta di diversi produttori. Sebbene se ne producesse tanto – circa 200 quintali per ettaro – il marzemino restava nel territorio, svenduto, sbicchierato nei bar perché inteso come vino veloce, cioè economico. Il motivo sta tutto nella poca attenzione alla qualità che si realizzava un tempo, proprio perché ce n’era tanto e di profitto si doveva pur campare, a volte anche a discapito della qualità.

Eugenio Rosi

Gli anni Ottanta del marzemino

Arrivano gli anni Ottanta e si pensa di regolarizzare la produzione di questa varietà in maniera del tutto legale e univoca, soprattutto per portare sul mercato un vino franco e piacevole. Quindi, nacque il Consorzio Volontario dei Produttori di Marzemino, con lo scopo di evitare il calderone di pressapochismo riguardo il vitigno. “Questo aveva la funzione di condivisione, tant’è che si formavano delle vere e proprie commissioni di assaggio – afferma Eugenio Rosi – quindi si procedeva a rilasciare l’autorizzazione a imbottigliare il campione effettuato qualora fosse stato idoneo dal punto di vista chimico, fisico e organolettico, sempre tenendo conto delle caratteristiche specifiche del marzemino”. Un metodo d’avanguardia per i tempi che ha saputo produrre risultati positivi, ma ha necessitato di grandi energie non solo fisiche ma anche economiche. Infatti, agli inizi del Duemila è andato disperdendosi questo sforzo da parte dei grandi attori e poi, concludendosi rovinosamente quando tutti i produttori si sono trovati a dover rinunciare per mancanza di input.
La situazione ha fatto sì che il marzemino ridiventasse un personaggio in cerca di autore, semplice ed economico, da vendere in enoteca e al bar senza impegno, restando circostanziato nel suo Trentino senza grandi guizzi, se non con qualche cartone pronto a partire per la vicina Lombardia, pronto a diventare vino per “tutti i giorni” quindi a zero stress.
“Con la chiusura di questo consorzio non si è pensato al lungo periodo, ma solo a scelte estemporanee – afferma Eugenio Rosi – come spesso succede nel mondo del vino. Si è puntato su varietà che potessero dare più soldi subito e che potessero essere facilmente vendibili, quindi spazio al pinot grigio e al Trentodoc con chardonnay e altre varietà internazionali. Noi produttori, in quel momento, abbiamo smesso di credere in un percorso di successo, ma i più audaci hanno continuato. Ora è necessario che ci credano anche i grandi gruppi, quelli che hanno smesso di investire sul marzemino all’epoca”.
Che il consorzio volontario sia stato una perdita per il territorio e anche per la rivalutazione del vitigno ne è certo Rosi, ma anche Mauro Baldessari che il consorzio l’ha vissuto come presidente. L’attuale presidente di Vivallis e vicepresidente dell’associazione Casa del Vino ha una sua idea su ciò che è stato e su ciò che sarà del marzemino. “Il mio destino lavorativo è legato indissolubilmente a questa varietà. Il consorzio è stato necessario e linfa vitale per il marzemino, ma quando i grandi gruppi – leggi Cavit, Concilio, Cantina di Isera e Sav – hanno ritirato la presenza dal consorzio, quindi anche i finanziamenti, sono rimasti solo i piccoli e tirarsi indietro è stato inevitabile. Certo, per qualche anno il marzemino ha continuato a vivere di luce riflessa, ma i tempi cambiano e anche le congiunture politiche ed economiche, quindi, il marzemino e la viticoltura trentina ha dovuto fare i conti con la crisi economica grave del 2008 e 2009 che ha scompaginato ogni equilibrio produttivo”. Cos’è successo poi? Secondo Baldessari si è dovuto pensare a come remunerare i conferitori, i produttori e tutti coloro che con la vigna ci campano, quindi via alle vie più semplici e all’inseguimento dei gusti del nuovo consumatore esigente e che cambia.

Mauro Baldessari

Il marzemino in numeri e la nicchia di produzione attuale

I numeri non mentono mai e servono per dare una misura della presenza del marzemino attualmente. Negli anni Novanta se ne producevano ben 3.000.000 di bottiglie, mentre oggi si parla di circa 1.300.000 di bottiglie. Un divario importante che ha segnato un non crederci più nel vitigno, ma soprattutto una svalutazione che lo porta a diventare prodotto da offerta in GDO a poco prezzo, magari prima delle feste e in grandi formati. Su questo Rosi, viticoltore integralista, ci tiene a fare il punto. “Sarebbe un peccato che il marzemino – quello fatto bene – facesse la fine degli indiani d’America. Bisogna rispettare anche chi ha scelto di puntare su questo prodotto e cerca di renderlo dignitoso, come ho scelto di fare io da 25 anni, dopo aver vissuto l’epoca d’oro delle cooperative. La guerra al prezzo è un danno che si fa in primis al territorio, poi al produttore. Rivendico che il marzemino deve costare il giusto e non può essere svenduto”. Eugenio su questo non transige e dalla zona dei Tiresi racconta un marzemino autentico, da vinificare nella maniera più corretta e meno invasiva, accettando il vino che anno dopo anno arriva. “Tutto il percorso dalla produzione dell’uva, impianto, resa, scelta vendemmiale, devi portarla alla tua idea, ma questa si realizza solo strada facendo. Il marzemino è particolare e non può piacere a tutti perché riduttivo, chiuso, aromaticamente molto complesso, ma in grado di evolversi al meglio nel tempo, mantenendo i suoi profumi”. Così il produttore ragiona sulla contemporaneità che questo vino può avere. Ma poi la domanda è seguente: come lo si vende al grande pubblico e non solo alla nicchia di mercato?

Come rilanciare il marzemino

Le vie per rilanciare il prodotto sono diverse, tutte hanno un background da rispettare, diverso e allo stesso tempo efficace. Se l’unione fa la forza, allora è bene da ricercare nei piccoli produttori un punto di vista, proprio come afferma Eugenio Rosi. “Bisogna continuare a crederci, coltivare il marzemino nelle zone giuste e non a tutti i costi, prima di espiantare valutare i pro e i contro di questo vitigno, quindi puntare a un vino importante. Ci si può arrivare, basta crederci”. Le azioni concrete, secondo Rosi, sono iniziare a imbottigliarlo, venderlo e proporlo prima ai local e poi fuori regione. Per far questo però, serve sistema.
Ed ecco quindi, arrivare la via della promozione che va ponderata e ben apprezzata. Mauro Baldessari con l’associazione Casa del Vino punta proprio a questo. Una storia che si innesta a quella del marzemino naturalmente e ne diventa una costola pronta a sorreggere il vitigno quasi dimenticato. “Era il 2024 quando siamo partiti con questo progetto, direi in tempi non sospetti, quando non si parlava di dazi e non si ragionava su situazioni geopolitiche non favorevoli al vino, vedi le guerre. Si parlava di ben 280 ettari vocati a marzemino destinati quasi a scomparire a discapito delle varietà facilmente profittabili, ma si stava perdendo una parte della storia trentina. Il vino, risultato moderno dal punto di vista organolettico, potrebbe diventare il viatico per rilanciare i rossi regionali, da sempre bistrattati a discapito dei bianchi”. Così inizia un ragionamento che ci porta alla facilità di beva, a un vino profumato e divertente, adatto ai cosiddetti giovani che “non bevono più”. “Il consumatore cerca semplicità e il marzemino corrisponde a un vino che non ha bisogno di salti mortali per essere apprezzato in abbinamento col cibo, quindi, è un prodotto adatto per un consumatore nuovo che si è stancato di cercare il match perfetto”. Tutti temi che tengono banco nella discussione sul vino nazionale.
E si arriva alla Casa del Vino, l’associazione pronta a riabilitare la sorte del vino trentino. “Siamo partiti da queste riflessioni e vediamo che oggi, il 95% dei produttori di marzemino aderisce alla Casa del Vino sperando di poter dare un futuro all’autoctono, magari evitando l’espianto per altre varietà più facili. Ci sono alcuni che hanno scelto di non farlo – come Eugenio Rosi, seppur per lui le porte restano aperte afferma Baldessari –. In casa del vino c’è Cavit, Vivallis, Cantina di Isera, Cantina di Trento e altri produttori privati. Siamo 25 pronti a mettere in campo idonee strategie di marketing per rendere appetibile anche il marzemino. Non è nulla di inedito e insolito per il territorio, ma certamente le azioni concrete da fare riguardano in primis la formazione di albergatori, sommelier e ristoratori. Devono essere loro la prima interfaccia con il nuovo consumatore di marzemino, proponendolo, parlandone e spiegandone perché è parte integrante della cultura montana. L’obiettivo è suscitare la curiosità a tavola e in ogni luogo in cui il vino è una parte del racconto territoriale”. Secondo il vicepresidente, l’impegno della Casa del Vino è rivalutare l’autoctono e le circa 2000000 di bottiglie di marzemino che restano sul territorio. “Dobbiamo intercettare l’ancora piccola percentuale del transito turistico trentino e parlare la stessa lingua dei turisti, presentarci con una specificità e in maniera coordinata. Siamo una regione a vocazione turistica, quindi anche l’enogastronomia deve saper fare la sua parte. Allora cosa aspettiamo a iniziare per davvero”?
Una call to action, quella di Baldessari che si proietta già verso la fine di quest’anno che vedrà un’assemblea costitutiva dell’ente, quindi un successivo relazionarsi con Trentino Marketing e Consorzio Vini Trentino, partner per la buona riuscita dell’intento. “Con questi enti capiremo come e su quali settori intervenire, stabilendo quelli su cui ci deve essere priorità massima”.
Il destino del marzemino, sebbene sembri ancora nebuloso, si prospetta interessante e protagonista di un dibattito regionale per niente pronto a placarsi. Che sia finalmente un modo per scuotere le coscienze di produttori di ogni dimensione? Chissà. È certo però, che è un vino da assaggiare e da apprezzare come pezzo della storia trentina che nasconde grandi sorprese dietro una distesa di vigneti rigogliosi e montagne generose.

Serena Leo
Serena Leo

Laureata in giurisprudenza, all’avvocatura ho scelto il vino che è diventato il mio lavoro a tutti gli effetti. Come giornalista freelance scrivo per diverse testate del mondo vitivinicolo, dedicandomi a svelarne gli aspetti più curiosi. Da pugliese Docg sono innamorata di questa terra che, molto spesso, ritorna tra le righe dei miei racconti online e su carta stampata. L’obiettivo però, resta sempre lo stesso: svelare cosa c’è in un calice di vino senza perdersi in troppi giri di parole.

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